Massimo D'Alema (foto LaPresse)

Un comiziaccio fratricida nel bel mezzo della rovina

Giuliano Ferrara

Opportunista massimalista e riformista en travesti, D’Alema ha fatto la sua lezione storica, per riapparire come il custode dei valori della sinistra che sarebbero stati svuotati da Renzi. Ma chi vuole prendere in giro?

Con voce stentorea, molto autorevole dall’alto del 3 per cento e della brillante parabola di “liberi e non mi ricordo che altro”, davanti a una platea di smarriti del popolo di sinistra, D’Alema ha fatto la sua lezione storica, dicendo che non è più niente, e questo è sicuro, è uno che guarda la televisione, troppa, mi pare. Succo: la sola destra che ha vinto è Renzi, la rottamazione dei valori di sinistra, la gente ha votato la falsa sinistra a 5 stelle per poi ritrovarsi il Truce che ha vinto il dopo-elezioni, c’è stata una dissoluzione sociale generata dall’abbandono della gagliarda tradizione di Gramsci Togliatti Longo Berlinguer.

 

Ha sempre fatto finta, D’Alema, di essere il pastore dell’essere della sinistra di radice comunista, per quanto trasfigurata da quel dettaglio che è la caduta del muro e del Gosplan, la recita dura da quando si mise le stellette della Nato per il Kosovo, da quando fece finta di litigare con Cofferati per l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, da quando scelse Di Pietro, da quando fece a schiaffi tarallucci e vino con Prodi, onorevole ministro di Andreotti, da quando si è bevuto l’anticasta senza reagire, da quando ha imboccato la famosa terza via con Clinton e Blair, in un periodo in cui Renzi portava ancora i calzoni corti. Opportunista massimalista fin dai tempi della Fgci e del movimento degli studenti, e riformista en travesti, D’Alema ci ha ammannito la barca a vela con l’albero in carbonio, il grido di Marettimo “bye bye Condi”, il vino dell’Umbria, le scarpe di lusso, un sistema di potere pacchiano che aveva il suo centro nella conquista fallita del mondo bancario, e da quel destro di necessità e di passione viziosa che è, che è sempre stato, adesso riappare come il custode dei valori di sinistra svuotati da quel ragazzo fattosi da sé che aveva prima preso Firenze senza aiutini d’apparato, affronto, poi proclamato la rottamazione delle vecchie maschere che perdevano sempre, affronto, poi rifiutato accordi di caminetto, affronto, rigettato l’antiberlusconismo penale e moralistico, affronto, e infine tentato di trasformare il riformismo di opportunità in un riformismo di convinzione, dovendo battagliare con destri del calibro di Davigo e Travaglio, con destri della stazza comica e tragica di Gribbels e Casaleggio, in un mondo, particolare che il terzinternazionalista D’Alema disconosce o ignora, avviato a ruotare intorno a Trump, alla Brexit, ai nazionalismi e ai giustizialismi securitari da paura, nella frustrazione, nella rabbia, nel risentimento di masse irreggimentate da loro stesse, dai loro nervous states fatti di chat e talk show, e D’Alema tutto questo lo imputa ai pop corn di Rignano e della Boschi, che certe riforme le avevano fatte e la faccia del riformismo liberale e sociale possibile l’avevano per lo meno difesa fino all’ultimo, contro torme di costituzionalisti e di economisti che valevano una cacca, mentre lui si imbarcava con Grasso, e con numerose mucche nel frattempo arrivate nel corridoio, in avventure salentine ridicole. Ora ci fa lezione.

 

Un po’ di misura, dico io. La vendetta è un piatto che si serve freddo. A spese eventualmente proprie, come il conte di Montecristo che ci mise su il patrimonio ottenuto dalle confidenze dell’abate Faria, con estremo uso di mondo, con un fare libertino, seduttivo, non con comiziacci fratricidi nel bel mezzo della rovina. Ma davvero la dissoluzione è stata causata dall’incapacità di una classe dirigente, corrotta mentalmente, di capire le istanze dei poveri e degli emarginati del reddito di cittadinanza? Davvero si tratta di cose maturate nell’ultimo miglio, dopo il fallimento clamoroso della governabilità ulivista e d’alemiana, dopo gli esperimenti impiccababbu con Cossiga e Mastella? Ma chi vuole prendere in giro, l’ex esponente dei Liberi e non mi ricordo che cosa d’altro?

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.