Una scena di L'armata Brancaleone, film del 1966 diretto da Mario Monicelli

Contro il Congresso Brancaleone del Pd

Redazione

In attesa di Minniti, quanti sono questi candidati? Troppi, è ora di semplificare

Il borsino di Marco Minniti segna da mesi attese ed eterni passi avanti e indietro dell’ex ministro dell’Interno. “Serve una riflessione più ampia”, diceva Michele Ventura, storico esponente del Pci-Pds-Ds, già vicesindaco di Firenze e vicecapogruppo del Pd alla Camera, abilissimo nel traccheggiare. Ogni settimana, per Minniti, pare essere quella decisiva. “Entro due giorni si candida”, ripetono da settimane i dirigenti renziani che gli stanno dando una mano. Questi due giorni nel frattempo sono diventati almeno dieci. Si sarebbe dovuto candidare fra martedì e mercoledì scorsi, adesso pare (ma forse no) che la decisione slitti a dopo l’assemblea del Pd di questo sabato. Nel frattempo, oggi presenterà il suo libro con Matteo Renzi e Dario Nardella a Firenze, forte della consapevolezza di correre un rischio a rimandare troppo la candidatura e di cadere nella sindrome Nanni Moretti di “Ecce Bombo”: “Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi e io sto buttato in un angolo, no? Ah no, se si balla non vengo”.

   

Minniti alla fine ci sarà, come il Foglio si augura da tempo, ma fra i candidati già in campo e aspiranti candidati, questo Congresso rischia di diventare un’armata Brancaleone. Sarebbe meglio invece, per il Pd e la sua sanità mentale, che i contendenti non fossero troppi, non solo per evitare frantumazioni eccessive ma anche per mettere in campo una competizione più tra progetti che tra correnti. Anche perché le candidature “minori”, inevitabilmente destinate a non vincere, rischiano solo di servire a mandare tutti i candidati sotto la fatidica soglia del cinquanta per cento, sotto la quale non c’è ballottaggio, consegnando così la scelta del prossimo segretario del Pd all’assemblea dei delegati. Il massimo sarebbe uno scontro su gli ideali e i programmi tra Zingaretti e Minniti. In fondo i due contendenti offrono già due identità molto diverse che sfidandosi possono arricchire il Pd. In caso contrario si rischierebbe solo un effetto pollaio. Ne vale la pena?

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