Foto LaPresse

Cosa non torna nel congresso Pd

I timori di Minniti, i dubbi di Martina e la carta degli ex premier. Intanto il Partito democratico continua a faticare nei sondaggi e le elezioni europee si avvicinano

Raccontano che Marco Minniti non sia pienamente convinto dell’appoggio dei renziani. Dicono che ritenga il sostegno dell’ex segretario troppo tiepido. Certo, l’ex ministro dell’Interno non vuole che Renzi si esponga pubblicamente in suo favore. Anzi è stato il primo a dire che non avrebbe dovuto farlo perché non vuole apparire come il candidato dell’ex premier. Ciò nonostante Minniti vorrebbe la certezza che Renzi stia mobilitando tutta la sua corrente a suo sostegno senza se e senza ma. E invece l’ex ministro vede che qualcosa non torna.

 

Gli uomini di Minniti, del resto, ne hanno parlato in maniera esplicita anche con gli ambasciatori di Renzi. Il timore non è tanto che l’ex segretario all’ultimo cambi cavallo. A quello, per come si sono messe le cose, non crede ormai più nessuno. E in pochi pensano ancora che sotto sotto Renzi stia puntando a rinviare le assise nazionali per far decantare la situazione e poi scendere in campo direttamente lui. Se anche l’ex segretario ha pensato di intraprendere una strada del genere ancora due settimane fa, ora non c’è più il tempo (e non c’è neanche il modo) per innestare la retromarcia congressuale. No, i timori dei fedelissimi di Minniti in realtà riguardano un altro scenario. La preoccupazione è che Renzi possa lasciare una parte dei suoi libera di votare anche per Martina. Il loro assillo infatti riguarda l’esito delle primarie. Vogliono che l’ex ministro superi il 50 per cento vincendo ai gazebo e che non sia costretto a passare invece per un’elezione a scrutinio segreto in Assemblea nazionale, previo patto tra capi corrente. Il perché è ovvio: nel primo caso Minniti sarebbe un segretario libero da qualsiasi condizionamento, nel secondo invece si troverebbe costretto ad accettare i vincoli e le richieste degli altri big del Partito democratico. Insomma, da Renzi si vuole l’assicurazione che la sua corrente si darà da fare alle primarie senza nessun retropensiero.

 

Nel frattempo Maurizio Martina, che pure vuole candidarsi anche lui alla segreteria, comincia a nutrire qualche dubbio sull’impresa. Non che il segretario uscente punti ad arrivare primo, però vuole guadagnare almeno il secondo posto. Arrivare terzo per lui sarebbe una sorta di umiliazione. Ed è la mancanza di una certezza a riguardo che lo assilla, anche se tutti sono convinti che alla fine i dubbi scompariranno e Martina scenderà nell’agone delle primarie.

 

In questa situazione di grande incertezza, in cui il Pd continua a faticare nei sondaggi e le elezioni europee si avvicinano, i pontieri, come sempre, si mettono all’opera. L’obiettivo? Trovare un accordo prima del Congresso. Come? Presentando un candidato su cui tutti potrebbero convergere. Chi? L’ultimo presidente del Consiglio del Pd, ovverosia Paolo Gentiloni. Presentare lui e costringere tutti gli altri, di fronte a quella candidatura, a fare un passo indietro: è questo il traguardo. Ma ci sono due difficoltà di non poco conto da superare. Primo, Gentiloni non è affatto convinto di compiere un passo del genere, anche se tutti ritengono che potrebbe fare questo sacrificio per il bene del partito. Secondo, Renzi non ha nessuna intenzione di siglare la pace con il suo successore.