La manifestazione a Torino. Foto LaPresse

Oltre Torino. Perché la data di scadenza del governo è legata a un tema: il lavoro

Claudio Cerasa

Gli effetti disastrosi del decreto dignità, l’incapacità di lavorare sulle competenze e l’incompatibilità tra il reddito di cittadinanza e i 500 mila posti di lavoro che nessuno vuole in Italia. Ragioni per cui sarà l’economia a decretare la fine del governo del cambiamento

L’accordo sulla prescrizione firmato giovedì scorso dalla Lega e dal Movimento 5 stelle ha fatto ritornare attuale un tema a cui i professionisti del retroscena sono particolarmente legati e che riguarda la possibilità che il governo del cambiamento cada per ragioni legate all’incompatibilità programmatica di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio. L’accordo sulla prescrizione prevede che la norma liberticida voluta dal Movimento 5 stelle e accettata dalla Lega – blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado – sia operativa a partire dal 2020 e molti osservatori hanno giustamente notato che quella data fissata dalla Lega potrebbe essere non casuale e potrebbe coincidere con la data in cui la Lega immagina che possa finire questo governo (in realtà, per la prescrizione poco cambierebbe: la riforma entrerà nel ddl anticorruzione e quando quel ddl verrà approvato, a inizio 2019, la nuova prescrizione entrerà in vigore in modo automatico a partire dall’anno successivo a prescindere da quale governo ci sarà). Ma più che sforzarsi di capire quali dinamiche politiche potrebbero spingere questo Parlamento a cercare una nuova maggioranza – e se c’è qualcuno che sogna le elezioni quel qualcuno dovrebbe fare di tutto per esportare in fretta in tutta Italia il movimento dieci novembre andato in piazza sabato scorso a Torino contro l’Italia a bassa velocità – è forse più utile provare a capire su quale tema il governo potrebbe davvero cadere. I temi sono molti ma il più importante riguarda non solo l’economia in senso lato, e dunque lo spread e dunque le banche, ma prima di tutto una questione chiave: il lavoro. 

   

E la domanda a cui vale la pena rispondere oggi è questa: un governo del cambiamento eletto per creare meno povertà, più ricchezza e più lavoro, potrà davvero sopravvivere nel momento in cui i dati economici dimostreranno che la ricchezza viene distrutta, che la povertà viene aumentata e che i posti di lavoro vengono spazzati via come se fossero pezzi di cognomi di leader cinesi? Dare la colpa all’Europa per lo spread a livelli di guardia è un giochino che potrebbe convincere molti elettori. Ma dare la colpa all’Europa per il lavoro che non c’è, e che questo governo ha cominciato a distruggere, potrebbe essere più difficile e per questo vale la pena capire quali sono i problemi su questo fronte creati dal governo del cambiamento. Lo facciamo mettendo insieme due dati diversi. I primi dati sono quelli che riguardano il lavoro che è stato bruciato nei mesi del governo del cambiamento. I secondi dati sono quelli che riguardano l’incapacità di creare politiche in grado di indirizzare i lavoratori del futuro non solo sul lavoro dei sogni ma soprattutto sul lavoro che c’è.

   

I primi dati sono quelli che riguardano il mese di agosto, quando le elaborazioni effettuate dall’Inps hanno evidenziato una flessione del 13 per cento sul fronte delle assunzioni a tempo determinato (23.833 assunzioni a tempo in meno, a confronto con l’agosto 2017) facendo segnare un dato negativo dopo un luglio in linea con il 2017 (meno uno per cento) e dopo sei mesi nel 2018 sempre positivi, con picchi a gennaio e febbraio del più 31 e più 19 per cento. A luglio, il presidente dell’Inps Tito Boeri aveva detto che le stime dell’Inps su quanti posti di lavoro potrebbero andare perduti con l’approvazione del decreto dignità – nella relazione tecnica che a luglio ha accompagnato il provvedimento sul lavoro del governo era stato scritto nero su bianco che il decreto dignità avrebbe bruciato almeno 8 mila unità di lavoro all’anno per i prossimi dieci anni – possono apparire addirittura ottimistiche “se si tiene conto che ai lavori in somministrazione vengono estese tutte le restrizioni stabilite dal decreto per i contratti a tempo determinato” e a giudicare dal modo in cui le aziende hanno reagito alla nuova normativa c’è da riconoscere che Boeri aveva ragione. Ad agosto, il totale delle nuove assunzioni ha fatto segnare un risultato molto negativo (359.943 contro le 401.557 del 2017). Lo stesso ha certificato l’Istat a settembre con il mercato del lavoro “che ha segnato un lieve peggioramento caratterizzato da una diminuzione degli occupati (-0,1 per cento rispetto al mese precedente pari a -34 mila unità)”. E lo stesso ha certificato venerdì scorso il centro studi di Assolombarda, evidenziando che in Lombardia nel terzo trimestre del 2018 è stato registrato un calo del 37 per cento delle richieste di lavoratori in somministrazione, con un meno 63 per cento se si guarda solo ai profili tecnici, con un trend, come ha notato sul Foglio il direttore della Fondazione Adapt Francesco Seghezzi, che indica che “la causa dell’incertezza è generata dal decreto dignità”. E lo stesso Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, ha confermato che i contratti in meno nel mese di settembre sono stati 12 mila e ha detto che la frenata è dovuta “agli effetti del decreto dignità”. Il governo ha scelto di rendere più difficili da firmare i contratti di lavoro a tempo determinato e il risultato è che la lotta alla flessibilità non ha portato meno precarietà ma ha portato più disoccupazione. Ci sarebbe da far tremare le gambe se non fosse che l’altro problema relativo al futuro del mercato del lavoro italiano è stato inquadrato in modo magistrale la scorsa settimana da Laurene Powell Jobs, vedova del fondatore della Apple, in un dialogo con il presidente dell’Osservatorio permanente Giovani-Editori. Laurene Powell ha ricordato che “il 65 per cento dei lavori che faranno i giovani nel futuro oggi non esiste” e ha offerto un’occasione per discutere di un tema che non potrà mai essere affrontato con un reddito di cittadinanza: che cosa può fare uno stato moderno per aiutare chi cerca lavoro a capire che lavori serviranno nel futuro del nostro paese? Il mismatching, ovvero la differenza tra le competenze che vengono richieste e le competenze che vengono offerte, è un problema che esiste già oggi nel nostro paese e per capire le dimensioni di questo fenomeno è utile mettere insieme qualche dato che abbiamo chiesto in esclusiva per il Foglio a una piattaforma di job-matching di nome Face4Job che dal 2014 mappa a livello globale, città per città, le offerte di lavoro in tempo reale che le aziende pubblicano nelle pagine “lavora con noi” dei siti web istituzionali. Abbiamo chiesto se è vero che in questo momento in Italia ci sono decine di migliaia di posti di lavoro offerti e l’amministratore delegato della società, Alessio Romeo, ci ha risposto in modo esaustivo. Solo per le divisioni Sales, ovvero collaboratori commerciali, Ict e settori digital, intesi come Sviluppatori, Sistemisti, Analisti Programmatori, Data Scientist e Data Store Manager, Web Developer, Social Media Specialist e altre figure specializzate in Cyber Security e Blockchain experts, ci sono almeno “mezzo milione di posti di lavoro disponibili”. E – dice Romeo – “se poi andassimo a considerare tutte quelle aziende che non hanno in Italia una educazione digitale adeguata, in termini di assenza di pagine web e/o social a supporto del business e relativa gestione, ci sarebbe un potenziale abnorme di opportunità nuove in tale ambito con investimenti davvero minimi. Questo sarebbe davvero un settore a cui orientamento delle scuole e politiche attive dovrebbero guardare seriamente. Lo notiamo proprio dal confronto tra Italia e paesi esteri dove questo mismatching infatti è molto più basso”. Secondo Face4Job sono molto richiesti ma poco disponibili – oltre alle professioni sociali e sanitarie e servizi alla persona, come infermieri e assistenti sociali, e ad altre professioni legate alla cura della persona – i laureati più a indirizzo elettronico, meccatronico, industriale, tutte figure richieste nell’ambito della ricerca e dello sviluppo delle aziende manifatturiere di Emilia Romagna, Triveneto e Piemonte. Nelle zone di Milano e Roma, nota Romeo, c’è tantissima richiesta insoddisfatta di consulenti in ambito Tax Legal e un’altra richiesta emergente e poco soddisfatta è quella dei mestieri più green legati alla terra o all’energia, quindi ambito Bio specialisti o Energy Manager. Per capire come il tema del mismatching sia un tema del tutto ignorato da questo governo è sufficiente guardare il modo in cui è stato ideato il reddito di cittadinanza. L’assegno del reddito di cittadinanza, quando ci sarà, se mai ci sarà, viene revocato se il candidato “sostiene più di tre colloqui con palese volontà di ottenere un esito negativo”, o se “rifiuta la terza offerta di lavoro consecutiva”. Secondo il Movimento 5 stelle, citiamo dal testo depositato in Parlamento, un’offerta è congrua “quando essa è attinente alle competenze segnalate dal beneficiario in fase di registrazione presso il centro per l’impiego, la retribuzione oraria è uguale o superiore all’80 per cento rispetto alle mansioni di provenienza o a quanto previsto dai contratti nazionali di riferimento, il luogo di lavoro è situato nel raggio di 50 chilometri dal luogo di residenza ed è raggiungibile entro ottanta minuti con i mezzi pubblici”. In altre parole, deve essere il posto di lavoro adeguato alle esigenze di chi non ha lavoro e non deve essere il lavoratore a fare di tutto per adeguarsi alle competenze richieste da chi offre lavoro. “Le riforme attuate negli anni, o meglio nei decenni, passati – ha detto Luigi Federico Signorini, vicedirettore di Banca d’Italia, in un’audizione venerdì scorso alla Camera in commissione Bilancio – hanno cominciato a dare frutti: la ripresa ha generato più lavoro di quanto ci si sarebbe potuti aspettare e anche se il pil rimane inferiore di circa il 4 per cento rispetto al 2007, il numero degli occupati ha raggiunto un massimo storico. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro delle donne e delle classi di età più elevate si è innalzato”. Le riforme che il governo del cambiamento vuole distruggere sono quelle che hanno permesso all’Italia di essere nuovamente affidabile (legge Fornero) e quelle che hanno permesso di ricreare posti di lavoro (jobs act). Salvini e Di Maio hanno scelto di distruggere quelle riforme. Il risultato è che l’Italia è meno affidabile e che non sa più creare posti di lavoro. Non si sa quando questo governo cesserà di esistere, ma quando succederà, la ragione dell’implosione non sarà legata a una incompatibilità tra Salvini e Di Maio ma sarà legata a una incompatibilità di questo governo con la realtà.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.