Attilio Fontana (foto LaPresse)

“Reagire contro chi blocca l'Italia”. Parla Attilio Fontana

Claudio Cerasa

“La prescrizione? Niente compromessi. Le imprese? Vanno ascoltate. Il futuro del governo? Si gioca sull’autonomia. La Tav? Sono vicino a chi manifesta per l’alta velocità”. Intervista col governatore leghista della Lombardia

Il cambiamento è necessario perché continuare a portare avanti le politiche fatte negli ultimi trent’anni rischia di far morire il nostro paese di inedia. L’Italia ha bisogno di uno choc e credo che ci siano le condizioni per tentare questo choc. Ma il cambiamento deve essere fatto con raziocinio e a volte è necessario fermarsi, ragionare, riflettere e capire che non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca. E insieme all’acqua sporca, in alcuni casi, ho l’impressione che qualcuno al governo voglia buttare via anche il bambino”. Il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, è uomo prudente, non ama le polemiche, dal giorno in cui è arrivato alla guida della Lombardia, il 4 marzo, ha scelto di seguire con distacco la traiettoria del governo ma da qualche mese a questa parte ha iniziato a registrare sul sismografo della regione alcuni segnali preoccupanti relativi al futuro dell’Italia.

 

Lo scorso 18 ottobre, il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi ha usato parole toste nei confronti del governo del cambiamento e ha rimproverato Luigi Di Maio e Matteo Salvini per aver prodotto una manovra non “da paese responsabile”, carica di “paternalismo” e finalizzata non al vero cambiamento ma a un semplice “dividendo elettorale”. Fontana ha ascoltato con interesse e attenzione le argomentazioni di Bonomi e in questa chiacchierata con il Foglio riconosce che le imprese hanno buone ragioni oggi per essere preoccupate. “Io – ci dice Fontana nel suo ufficio al trentacinquesimo piano del Pirellone – sono favorevole al fatto che per la prima volta dopo più di dieci anni questo governo ha cominciato a guardare agli enti locali e alle regioni con interesse e attenzione. Finalmente i comuni avranno i soldi da spendere in opere pubbliche, in manutenzione, il che vuol dire che avranno soldi per sbloccare l’economia. Ma non si può sbloccare con una mano e poi bloccare con l’altra”.

 

Quando usa il verbo “bloccare” il presidente Fontana si riferisce naturalmente alle grandi opere e il dialogo con il governatore non può che spostarsi rapidamente su una città come Torino che sabato prossimo rovescerà in piazza la sua rabbia contro la politica dei no. Si parla di alta velocità, si parla di Tav, ma si parla in realtà d’Italia e su questo tema il governatore ammette che l’esecutivo non può permettersi di giocare. “Mi sento vicino a chi protesta contro l’Italia che dice no e condivido le ragioni di chi chiede di investire nell’alta velocità e di non bloccare l’Italia. Il governo va nella giusta direzione quando chiede all’Europa di non bloccare lo sviluppo dell’Italia ma non va nella giusta direzione, e crea perplessità, quando non ha la forza di sbloccare le grandi opere pubbliche. E lo stesso ragionamento, se mi è concesso, andrebbe fatto quando si parla di reddito di cittadinanza. Io sono convinto che vada aiutato chi è senza lavoro, e ci mancherebbe, ma penso anche che il modo giusto per aiutare le persone in difficoltà sia aiutare chi può creare lavoro e dunque le imprese. Chi crea lavoro aiuta il paese e aiuta la nostra economia e non aiutare chi crea lavoro significa non aiutare il nostro paese”.

 

Se il presidente della regione lombarda dovesse spiegare a chi governa oggi quali sono le richieste del ceto produttivo, in un paese che ha perso più di 100 miliardi di euro all’anno di capitalizzazione, in un paese che ha visto salire lo spread di oltre 180 punti in sei mesi, in un paese dove non tarderanno a farsi sentire sull’economia reale gli effetti di un clima di fiducia deficitario, su quali punti si concentrerebbe? “La preoccupazione dell’imprenditoria è che non ci sia sufficiente attenzione alla crescita e condivido questa richiesta: il paese può avere uno choc se si concentra più sulla produzione di ricchezza che sull’assistenzialismo. Prima di pensare a come redistribuire una torta, quella torta bisogna crearla”. Pochi giorni fa, facciamo notare al presidente Fontana, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, leghista come Fontana, ha detto che “l’approccio dei mercati e della Commissione europea sarebbe stato diverso se avessimo diminuito le tasse invece che aumentare le spese”. 

 

La domanda è dunque d’obbligo: perché si è scelto di giocare con il deficit per aumentare le spese e non per abbassare le tasse? “Originariamente nel patto di governo sottoscritto a maggio la promessa era quella. La Lega è stata votata per abbassare le tasse. Sono sicuro che verranno abbassate ma al momento bisogna riconoscere che la flat tax introdotta dal governo è diversa rispetto a quella prevista nel contratto. E sulle tasse non si scherza: per sbloccare l’Italia è necessario far scendere le tasse”. Nelle ore in cui parliamo con il governatore della Lombardia, il Senato, con 163 sì e 59 no, ha approvato la fiducia sul decreto sicurezza voluto dal ministro dell’Interno e proprio Matteo Salvini in giornata ha ribadito che il “governo non è assolutamente a rischio e manterrà uno per uno tutti gli impegni presi con gli italiani”.

 

Chiediamo a Fontana: quali sono i provvedimenti sui quali si testerà la forza e il destino di questo governo? “Il primo tema – dice Fontana – è la riforma della sicurezza e il passaggio di ieri del Senato è importante e mi rallegra. Il secondo tema è, come abbiamo detto, tutelare gli imprenditori e far ripartire gli investimenti. Il terzo tema è l’autonomia e dato che sull’autonomia si basa il futuro del paese possiamo dire anche che su questo tema si capirà che destino avrà il governo. In fondo è semplice capire cosa andrebbe fatto. Tecnicamente andrebbe approvato in Consiglio dei ministri un accordo che già c’è. Il Movimento 5 stelle ha mostrato un po’ di diffidenza, è vero, anche se ho registrato alcune aperture da parte del ministro Lezzi. Ma ora è tempo di scegliere: la facciamo sì o no?”. Il quarto tema, dice Fontana, riguarda la giustizia, e qui il governatore della Lombardia parla da politico ma anche da avvocato. Negli ultimi giorni, lo sappiamo, la Lega ha mostrato una certa diffidenza rispetto alla proposta di riforma della prescrizione messa sul tavolo dal Movimento 5 stelle. L’idea del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è far interrompere la prescrizione con la sentenza di primo grado e Fontana non ha difficoltà a dire che una riforma del genere permetterebbe alla giustizia italiana di fare il contrario di quello che servirebbe. “Non ho paura, non mi nascondo, e credo sia doveroso dire che questa è una riforma non accettabile. Anzi dico di più: è l’esatto opposto di quello di cui uno stato moderno avrebbe bisogno. Uno stato moderno deve investire per far durare un processo non di più, ma di meno, e deve fare di tutto per disinnescare tutte le mine piantate sul terreno del processo mediatico. Non si può pensare di lasciare nel limbo degli indagati e giocare con la prescrizione credo significhi violare lo spirito del nostro ordinamento, del nostro stato di diritto e del semplice buonsenso. Mi spiace per chi lo ha proposto, e per chi vorrebbe questa norma, ma ho e abbiamo il dovere di dire che non si gioca con la vita delle persone e che i magistrati vanno aiutati a finire in fretta i processi non a tenere degli indagati in ostaggio di processi infiniti”.

 

Facciamo notare al presidente Fontana che non è la prima volta che in questo governo si discute in modo creativo e pericoloso di giustizia e giusto pochi mesi fa il ministro Alfonso Bonafede ha promesso un’altra riforma che dovrebbe far saltare sulla sedia chiunque abbia a cuore i valori non negoziabili dello stato di diritto: superare la legge voluta dal precedente governo per regolare in modo soft l’utilizzo delle intercettazioni al fine di impedire la trascrizione delle conversazioni irrilevanti negli atti dei processi. L’idea di Bonafede è semplice e lineare: “Non può essere impedito ai cittadini di ascoltare le parole dei politici indagati o dei politici quando sono al telefono con persone indagate”. “L’uso disinvolto delle intercettazioni – dice Fontana – è un problema che deve essere governato, non alimentato, e dovere di un governo con la testa sulle spalle è fare di tutto affinché gli atti processuali coperti da segreto istruttorio restino segreti e che le intercettazioni penalmente irrilevanti non vengano diffuse solo per infangare il prossimo. Bisogna stare attenti e parlare della giustizia seriamente, non a colpi di slogan e di demagogia. Non si può banalizzare e su questi temi sinceramente non ci sono compromessi possibili: o si sta di qua o si sta di là”. Potremmo dire, presidente, che più che un avvocato del popolo all’Italia servirebbe un avvocato dell’interesse nazionale? “Io credo che semplicemente ci vorrebbe un buon avvocato. Ma un avvocato non solo del popolo ma prima di tutto dell’Italia”.

 

La nostra conversazione con il governatore si sposta sul tema dell’Europa e provochiamo Fontana con una domanda che riguarda la collocazione del partito guidato da Matteo Salvini. Il tema è questo. La Lega, alle europee, potrebbe essere il primo partito d’Italia, oggi è certamente il primo partito di centrodestra, ma in giro per l’Europa i cugini della Lega non sono così forti e anche nel prossimo Parlamento europeo il raggruppamento sovranista rischia di non avere un futuro radioso. Domanda: non potrebbe essere una strada giusta per la Lega provare a fare in Europa quello che sta facendo in Italia, ovvero sia guadagnare la leadership non del fronte sovranista ma dell’intero centrodestra provando a egemonizzare il Ppe da dentro, come hanno provato a fare Orbán e come proverà a fare Kurz? “Può essere una scelta, dipenderà dall’esito delle elezioni anche nel resto dell’Europa. Quello che è certo, e che va ribadito, è che noi abbiamo a cuore l’Europa. Noi non vogliamo sfasciare l’Europa, la vogliamo riformare, la vogliamo cambiare. E poi, se mi consentite, io non mi sento meno sovranista di Macron. Io penso che sia dovere di un buon politico fare gli interessi del suo paese. Se lo fa Macron, applausi. Se lo fa la Lega, fischi. Mettiamoci d’accordo, no?”.

 

Se si parla di Europa, facciamo notare in conclusione a Fontana, non possiamo non parlare di euro, e qui con il governatore si torna al punto di partenza: è giusto o no giocare con la moneta unica come sembra fare troppo spesso questo governo? “Io non ho mai creduto alla possibilità e alla necessità di uscire dall’euro. L’uscita dall’euro è sempre stata un’arma tattica per poter negoziare con l’Europa e per provare a modificare la realtà dell’Unione”. Eppure, diciamo a Fontana, molti imprenditori e soprattutto molti investitori percepiscono l’uscita dall’euro come una possibilità concreta per l’Italia. Non dovrebbe essere compito del governo dire con chiarezza che verrà fatto di tutto per salvare e proteggere l’euro? Non servirebbe con urgenza un whatever it takes di Salvini e Di Maio? “E’ una favola che questo governo voglia uscire dall’euro e chi dice che vuole uscire dall’euro lo fa solo per screditare questo governo”. Non è una favola invece, facciamo notare a Fontana, che l’innalzamento del differenziale di rendimento fra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi (siamo sempre a quota 300) abbia riportato l’attenzione degli investitori internazionali sul tema del nostro risparmio privato e tutte le agenzie di rating che hanno valutato la sostenibilità del nostro debito pubblico hanno riconosciuto che la stabilità del nostro paese non è a rischio grazie al risparmio privato degli italiani. Il governo non dovrebbe fare qualcosa di più per tutelare fino in fondo il nostro risparmio e non metterlo a rischio? “L’Italia ha una ricchezza privata che va tutelata e il risparmio italiano non va aggredito ma va protetto e sulla patrimoniale non si scherza e fino a che ci sarà la Lega al governo la Lega non potrà che dire una sola parola: no”.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.