Luigi Di Maio in piazza Verdi, a Palermo, all’inizio della campagna elettorale per le regionali in Sicilia, nel febbraio dello scorso anno (foto LaPresse)

Sei anni per una trazzera. La “via dell'onestà” e i grillini in Sicilia

Salvo Toscano

Dall’exploit delle politiche al mezzo disastro delle comunali. Per capire cosa sta accadendo al M5s è da Priolo Gargallo che si deve partire, nella regione più gialla d'Italia

Priolo Gargallo, provincia di Siracusa. Terra di petrolchimico e di battaglie contro l’inquinamento. E’ stato il centro più grillino d’Italia il 4 marzo scorso, quando alle politiche i Cinque stelle in Sicilia hanno ottenuto un fantasmagorico 48 per cento. Toccando nella cittadina del Siracusano un bulgaro 71,69. Un risultato monstre, spiegato così dal siracusano Stefano Zito, il più votato pentastellato all’Assemblea regionale: “Ciò che ha contato è stato l’impegno sul territorio”. Già, il territorio. Solo che passano solo tre mesi da quell’ubriacante risultato e proprio a Priolo Gargallo si torna a votare per le amministrative. E la candidata del Movimento 5 stelle, Teresa Lauria, finisce solo terza, raccoglie 1.300 voti, il 16 per cento. E chi ti vince, anzi stravince le elezioni nella roccaforte grillina? Pippo Gianni, veterano della politica siracusana, noto alle cronache nazionali per l’infelice battuta che tanto fece soffrire Stefania Prestigiacomo, quella sulle quote rosa che scassavano la minchia. Settantuno anni, una carriera politica cominciata proprio a Priolo Gargallo come consigliere comunale, Gianni è stato sindaco Dc, deputato regionale (quattro volte) e deputato nazionale (due), assessore regionale all’Industria con Raffaele Lombardo, è passato per un po’ di sigle postdemocristiane, ha fatto capolino anche nel Pdl, poi nel Centro democratico di Tabacci. Insomma, l’ironico e baffuto medico siracusano è un po’ l’incarnazione di quel professionismo della politica che i grillini combattono. A Priolo ha preso il 43 per cento, meno di cento giorni dopo l’exploit pentastellato delle politiche.

  

E allora, è forse proprio da Priolo Gargallo che si deve cominciare a guardare la Sicilia, la più grillina delle grillinissime regioni del Mezzogiorno il 4 marzo, per capire cosa stia accadendo al Movimento. Che alle amministrative di giugno – si votava in 138 comuni siciliani – ha ottenuto risultati assai modesti, lasciando strada a un ringalluzzito centrodestra e a un centrosinistra insperatamente vivo.

  

Alle comunali di giugno i grillini hanno vinto ad Acireale, un grosso centro del Catanese. Il candidato dei Cinque stelle, Stefano Alì, l’ha spuntata sul candidato di centrodestra al ballottaggio. Dopo di lui, il diluvio. I pentastellati hanno perso dappertutto. Anche a Ragusa, che era l’unico capoluogo di provincia che amministravano. Qui il candidato grillino Antonio Tringali è arrivato al ballottaggio ma è stato sconfitto da Giuseppe Cassì, un ex giocatore di pallacanestro, sostenuto da Fratelli d’Italia e civiche.

  

Quegli stessi siciliani che alle politiche si sono accodati in massa a Gigi Di Maio e compagnia, quando c’è da votare i sindaci, quando devi scegliere gente che tocchi con mano senza la tv di mezzo, del Movimento si dimenticano tutti o quasi.

  

Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, è stato il centro più grillino d’Italia il 4 marzo scorso: il M5s ha toccato il 71,69 per cento 

A Catania, seconda città dell’Isola, proprio come era accaduto a Palermo all’ultimo giro, i grillini non sono riusciti a toccare palla. Giovanni Grasso del Movimento 5 stelle si è fermato, terzo, al 15,91 per cento, mentre il candidato del centrodestra Salvo Pogliese ha vinto al primo turno facendo il pieno con oltre il 52 per cento, il doppio dell’uscente del Pd Enzo Bianco. A Trapani, dove era successo di tutto un anno fa, con le elezioni travolte dalle inchieste della procura di Palermo e finite alle ortiche, anche se il clima dell’anticasta era stato innaffiato come si deve, il candidato pentastellato Giuseppe Mazzonello è rimasto inchiodato all’11,77 e ha stravinto con percentuali bulgare a primo turno un navigato piddino già sindaco di due altri comuni del circondario, Giacomo Tranchida. Modesto anche il risultato di Siracusa e di Messina. Nella città dello Stretto sul terreno dell’anticasta e del populismo i grillini scontavano la concorrenza dell’uscente Renato Accorinti, il sindaco pacifista in t-shirt, ma soprattutto del ciclone Cateno De Luca, abile capopopolo che ha sbancato le urne stravincendo al ballottaggio a scapito del centrodestra. Ai Cinque stelle sono rimaste le briciole.

  

Quella di Messina è in fondo una vicenda emblematica. Di come per i Cinque stelle non c’è trippa per gatti ogni qual volta sul territorio al grillino di turno si contrappone un politico un po’ più abile della media a caratterizzare il proprio profilo come anticasta o per lo meno come estraneo ai partiti tradizionali. Accadde a Palermo l’anno scorso con la vecchia volpe Leoluca Orlando, nel nome del civismo. E’ accaduto, appunto, a Messina, con lo scatenato Cateno. Ma anche a Siracusa, dove il vicesindaco uscente Francesco Italia, un quarantacinquenne che va in giro in bici elettrica, ha saputo abilmente smarcarsi dai notabili del Pd locale, caratterizzando come civica la propria proposta e vincendo al ballottaggio contro il centrodestra. Grillini non pervenuti, proprio nel capoluogo della provincia più gialla alle ultime politiche e regionali, proprio in una città scossa da scandali di palazzo oltre ogni immaginazione, con presunte cricche annidate anche dalle parti del Palazzo di giustizia, manna dal cielo per gli “honesti”. Niente da fare.

  

Elezioni diverse, certo. Va detto e ricordato. Ma di fronte a risultati talmente discordanti a distanza di soli tre mesi, questo non può bastare a liquidare il dato come normale. Alle politiche l’exploit è stato totale e ha coinvolto tutta l’Isola. Alle amministrative un mezzo disastro. Il problema è probabilmente di classe dirigente. O meglio, di assenza di classe dirigente. Un punto debole che sui territori si scontra con chi ancora un po’ di classe dirigente, malgrado tutto, la conserva. Come il Partito democratico, che qui in sei mesi, tra l’autunno e la primavera, ha rimediato ceffoni su ceffoni alle urne, tra regionali e politiche, ma che alle amministrative è riuscito a battere qualche colpo, puntando appunto sui suoi amministratori locali. Quelli che dalle parti dei Cinque stelle scarseggiano. I comuni amministrati dai grillini in Sicilia, infatti, sono una manciata e ciò nonostante, non mancano le esperienze infelici.

  

Sei anni all’Assemblea regionale: tante parole, pochi risultati concreti. Il colpo mediatico migliore, la strada finanziata con il taglio degli stipendi 

Sì, perché un conto è fare l’opposizione, un altro è sporcarsi le mani governando. Come si stanno cominciando ad accorgere ai piani più alti del Movimento a Roma. In Sicilia qualche storia emblematica non manca. Gela, ad esempio, il comune più grosso conquistato a queste latitudini dai Cinque stelle, sesta città della Sicilia per popolazione. Qui il sindaco i grillini l’hanno eletto, Domenico Messinese il suo nome, ma l’hanno perso quasi subito. E’ stato espulso dal movimento pochi mesi dopo l’elezione, con una nota coi toni della scomunica in cui gli si rinfacciava tra l’altro di non essersi tagliato lo stipendio. Lui dal canto suo s’è fatto il suo bel movimento civico a cui hanno aderito i suoi assessori e buonanotte ai suonatori. Non è uscito ma si è autosospeso dal movimento Patrizio Cinque, giovane sindaco di Bagheria, grosso centro del Palermitano, finito in un’inchiesta giudiziaria con accuse di turbativa d’asta, falso, abuso d’ufficio, rivelazione di segreto d’ufficio e omissione di atti d’ufficio. “Non è un sindaco del movimento”, ha detto e ripetuto Gigi Di Maio scaricandolo quando la procura di Termini Imerese ha chiesto il processo. Il “capo politico” passava da Palermo proprio in quelle ore e non ha perso tempo per abbandonare al suo destino il primo cittadino, finito nei guai tra l’altro per una vicenda legata alla casa abusiva di un parente. Capita anche questo quando tocca governare. E i grillini in Sicilia hanno ben presto messo a fuoco che di questi tempi vincere le elezioni può portare più oneri che onori. Per esempio perché non c’è una lira. Come sanno le quattro amministrazioni pentastellate in dissesto finanziario. Sono Bagheria, Favara, Augusta e Porto Empedocle, la cittadina di Andrea Camilleri guidata dalla grillina Ida Carmina, quella che nei giorni della complicata trattativa tra Cinque stelle e Lega, che qualche naso grillino ha fatto storcere in Sicilia, asseriva che “in Italia ci sono due emergenze: l’immigrazione e la povertà”. Insomma, nessun problema a firmare contratti con la Lega. Dello stesso avviso era Giorgio Pasqua, deputato della sopracitata Priolo. “Posso assicurare che tutta Priolo preferisce avere risposte concrete piuttosto che giudicare a priori sbagliato un accordo con la Lega”, diceva citato dall’Espresso poco prima della nascita del governo Conte. E com’è andata a finire dalle sue parti poche settimane dopo, alle amministrative, lo abbiamo raccontato a principio di articolo.

  

Alle amministrative di giugno il movimento ha lasciato strada a un ringalluzzito centrodestra e a un centrosinistra insperatamente vivo 

E all’Assemblea regionale? Qui la vita è senz’altro più semplice. I grillini siedono a Palazzo dei Normanni ormai da sei anni. Sempre all’opposizione. In questa legislatura sono in venti, il gruppo più corposo del Parlamento regionale. Sono sempre molto attivi, presenti, agguerriti. Anche se alla fine della fiera portano a casa pochino. Sì, qualcosa l’hanno pure raccolta in questi anni, mozioni e ordini del giorno approvati, qualche emendamento infilato qua e là che passa, quel poco che si riesce a incassare dai banchi dell’opposizione. All’inizio della precedente legislatura avevano persino trovato un feeling con la giunta regionale del sedicente rivoluzionario Rosario Crocetta, tanto che già si parlava, a sproposito, di “modello Sicilia”. Durò poco, pochissimo, il tempo di una cottarella di stagione. Con il successore di Crocetta Nello Musumeci, malgrado il feeling romano dei pentastellati con i sovranisti salviniani, area da cui in qualche modo non è distante il governatore siciliano, non si riesce a fare lo stesso. Sarà che qui diversamente da Roma c’è di mezzo Forza Italia, con l’ingombrante leadership di Gianfranco Miccichè, un partner di cui i pentastellati proprio non vogliono sapere. Sarà anche che Musumeci e il leader grillino siciliano Giancarlo Cancelleri proprio non si prendono, dopo aver affilato le lame in due velenose campagne elettorali. Sta di fatto che l’auspicata (da Musumeci) collaborazione istituzionale in Assemblea regionale, con i grillini non è mai decollata.

  

E quasi quotidianamente piove lo stillicidio di critiche dei Cinque stelle sulla giunta regionale impantanata, critiche un po’ su tutto, dai rifiuti all’economia. Tante parole, pochi risultati concreti. Le ultime battaglie di Cancelleri e compagni sono quelle per tagliare i vitalizi degli ex deputati regionali sulla scia di Montecitorio e per ottenere benefici in termini di biglietti scontati per i siciliani che volano in continente, in ragione dell’insularità. Il tempo dirà se porteranno a qualcosa.

  

A Gela il sindaco grillino espulso dal movimento. Quattro le amministrazioni pentastellate in dissesto finanziario

Ma oggi, a conti fatti, il colpo migliore messo a segno dalla deputazione regionale grillina in questi sei anni rimane quello della mitica trazzera. Correva l’anno 2015, piena era Crocetta, la Sicilia era spezzata in due dal cedimento del pilone di un viadotto della Palermo-Catania. Aspettando le riparazioni dell’Anas, per attraversare l’Isola era necessario arrampicarsi in auto sulle Madonie: un disastro epocale. I grillini dell’Ars allora finanziarono con il taglio dei loro stipendi da parlamentari la ristrutturazione di una regia trazzera, un ripido sentiero tracciato dagli agricoltori due secoli fa, che accorciò di qualche minuto i tempi di percorrenza della Sicilia spaccata in due. Fu quello un gran colpo mediatico, di cui certo i Cinque stelle si giovarono. Una trazzera in sei anni è un po’ pochino? Vai a saperlo, di certo l’erta campagnola aperta dalle parti di Caltavuturo (e ribattezzata, manco a dirlo, “via dell’Onestà”) non bastò a vincere le elezioni regionali, dove pure i grillini andarono forte, con la candidatura di Cancelleri che attrasse su di sé un flusso mostruoso di voto disgiunto in arrivo dall’elettorato di centrosinistra. Ma quell’operazione, ben incastonata nella retorica dell’onestà, contribuì a gettare le premesse per l’exploit delle politiche, che è stato nazionale, certo, ma che in Sicilia ha avuto dimensioni senza pari. Una fiumana gialla che travolse tutto, salvo poi sgonfiarsi solo tre mesi dopo alle comunali. Lì dove l’elettorato cerca concretezza al di là dei proclami, delle invettive e dei buoni propositi. E anche delle trazzere.

  

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