Michele Serra (foto LaPresse)

La rabbia e i mediocri

David Allegranti

Sinistra, popolo, paura, umorismo. Michele Serra ci spiega come sopravvivere al governo Di Maio-Salvini

Roma. Ammette Michele Serra, scrittore e polemista di rango, che oggidì è difficile essere un elettore di sinistra o centrosinistra di fronte al linguaggio potentissimo del governo gialloverde, con tutti questi “aiutiamoli a casa loro” elevati a cifra di governo e la concorrenza spietata fra M5s e Lega a chi la spara più grossa. “La sinistra – dice Serra al Foglio – nasce dentro un linguaggio, quello della complessità, che in questo momento storico è totalmente soccombente. Nessuno ha il tempo di sopportarla, la complessità: se bastano pochi secondi per ottenere una risposta, nel giochino mondiale del web, perché diamine devo rompermi la testa in qualche maledetta analisi o ragionamento?”.

 

Ci sono elettori ex Pd che hanno votato il M5s pensando che fosse una costola della sinistra. L’alleanza con la Lega e gli effetti che sta producendo (annunci di chiusura porti e “linea dura” sull’immigrazione”) potrebbe indurre qualche riflessione sulla scelta fatta? “Io posso solo immaginare che cosa passi nella testa di un elettore di sinistra che ha votato Cinque stelle. E per immaginarlo meglio, posso leggere alcune dichiarazioni e alcune interviste. La mia impressione è che qualcuno capisca di essersi sbagliato, attribuendo intenzioni ‘di sinistra’ a un movimento che nasce con il proposito dichiarato di distruggere tanto le intenzioni di sinistra quanto quelle di destra, sostituendole con il mito della democrazia diretta via web. Ma si tratta di una minoranza: quelli che si sono accorti, ahimè troppo tardi, di avere votato contro i propri presupposti culturali e ideali. Più semplice e più consolante è pensare di essere stati indotti in errore dalle colpe altrui. Per la serie ‘la sinistra non mi voleva abbastanza bene’, ‘la sinistra ha tradito’, ‘la sinistra non c’è più’, ‘se non ci fosse stato Renzi tutto questo non sarebbe mai successo’. Io cito sempre, come chiave di volta per capire la psicologia media degli italiani, non importa se di destra o di sinistra, l’aurea battuta di Altan: ‘Mi domando chi sia il mandante di tutte le cazzate che faccio’”. Epperò viene da chiedersi che cosa cercava o ancora cerca un elettore del Pd, o genericamente di sinistra, nel partito di Casaleggio e Grillo. Quale fascino può avere? “Beh, il fascino della sostituzione. Se la politica ci ha deluso, la sostituiamo con una neopolitica nuova di zecca. Una specie di palingenesi totale che ha un solo macroscopico difetto: discende da una mentalità talmente ‘iperpolitica’ da ignorare che il paese rimane lo stesso paese, le persone rimangono le stesse persone, i problemi gli stessi problemi. Bisogna avere una fiducia sterminata nella politica – una fiducia più che leninista – per immaginare che un direttorio di volonterosi, eletto da poche migliaia di aventi diritto, possa cambiare radicalmente una comunità che ha difetti vecchi di secoli, tra i quali un analfabetismo civile che mette i brividi. Il difetto più imperdonabile del grillismo è, e rimane, la sua spaventosa ingenuità. Che non è il contrario di cinismo. E’ sinonimo di presunzione”. 

 

Di fronte a un simile avanspettacolo, l’elettore di sinistra e centrosinistra pare essere disorientato, confuso, almeno quanto gli stessi vertici di partito. Si chiede “che fare?”, ma di soluzioni se ne affacciano pochine. Dice Serra: “La sinistra ha due enormi problemi. Il primo è il cambiamento brusco dello scenario sociale, con tutte le contrapposizioni classiche (padrone/operaio, profitto/salario) cancellate, e ridisegnate in forme diverse e sfuggenti. La difesa dell’articolo 18 non è giusta o sbagliata: è semplicemente fuori tempo e fuori luogo, perché riguarda materiali sociali e umani ormai trasfigurati dal cambiamento. Il secondo problema è che la sinistra nasce dentro un linguaggio, quello della complessità, che in questo momento storico è totalmente soccombente. Nessuno ha il tempo di sopportarla, la complessità: se bastano pochi secondi per ottenere una risposta, nel giochino mondiale del web, perché diamine devo rompermi la testa in qualche maledetta analisi o ragionamento? L’egemonia culturale della destra, la nuova destra popolar-sovranista, sta tutta nella sua grande capacità di semplificare qualunque argomento. Tutto più semplice e, se posso dire, tutto sempre meno adulto e sempre più infantile. Trump è la puerilità al potere”. Quanto alla migrazione, Serra aggiunge: “I romani sottovalutarono le invasioni dall’Est e dal Nord delle orde nomadi, complete di mogli e figli? E prima ancora, l’uomo di Neanderthal sottovalutò l’arrivo di Homo Sapiens? La risposta, ovvia, è sì. La storia non ci domanda mai il permesso, nemmeno quando arriva da noi con le peggiori intenzioni. Diciamo che i moderni, specie i moderni tecnologicamente sviluppati come noi, avevano gli strumenti per essere un poco più avveduti, e almeno provare a governare i flussi, per quanto possibile. E non ne sono stati capaci. Dopodiché qualcuno mi deve spiegare come si ovvia al fatto che una popolazione invecchiata, sterile e ricca possa essere lentamente scalzata, o quantomeno affiancata, da popolazioni giovani, fertili e povere. Te lo dico io: o con lo sterminio etnico dei ricchi ai danni dei poveri, o con una sorvegliata, paziente, fraterna assuefazione al Gran Mischione che attende l’umanità. Vedo avvantaggiato, in prospettiva, l’universalismo cristiano. Vedrei avvantaggiato, se ancora esistesse, il vecchio, caro internazionalismo comunista. Vedo svantaggiati tutti i grotteschi, spaventati, avari giochini politici dei sovranisti. I loro muri sono castelli di sabbia che la marea sommergerà. La complessità, alla fine, vincerà, e la semplificazione (anche quella razziale) sarà spazzata via. Ma dopo quanti decenni o secoli di sangue, dolore e guerre, nessuno lo può dire. Io sono troppo vecchio, questo è certo, per vedere risorgere l’alba di una nuova civilizzazione. Spero in quelli che oggi hanno vent’anni, e spero che non si perdano d’animo perché, a differenza della mia generazione, che ha avuto il culo nella bambagia, loro vivranno in uno scenario infinitamente più duro”.  Ma non è che anche l’elettore di sinistra cercava una linea dura? Siamo sicuri che per questo elettorato votare sinistra significasse essere aperti e tolleranti? “Minniti, con modi forse bruschi ma intenzioni virtuose, aveva provato a dare un volto politico all’esigenza di un’accoglienza, diciamo così, compatibile. Così come si reclama compatibilità in agricoltura, e nello sviluppo, e dello sfruttamento delle risorse, magari anche l’accoglienza, che è un processo complicato e difficile, merita uguali premure. Ma quando Minniti ha parlato di ‘diritti di chi arriva, ma anche diritti di chi accoglie’, molti della sinistra radicale gli hanno dato dello sbirro e del fascista. Ne ho discusso con Gino Strada, a quattr’occhi, e non so se ci siamo davvero spiegati e capiti. So però che dopo Minniti è arrivato al governo Salvini; e se Minniti era un fascista, diventa veramente difficile definire Salvini, che è quattro spanne più in basso quanto a sensibilità umana, rozzezza politica, e alla decenza dello sguardo e del linguaggio”.

 

Paolo Virzì nell’intervista al Foglio dei giorni scorsi ha detto molte cose, tra cui questa: “I Cinque stelle si trovano oggi in una posizione che non meritano. E’ una commedia all’italiana: io ci vedo la rivincita e la vendetta del mediocre”. Serra condivide l’analisi del regista livornese? “A metà (una metà importante, comunque). Dentro quella roba ci sono due ingredienti: uno è la rabbia degli esclusi, l’altro il risentimento dei mediocri. Della rabbia degli esclusi si deve avere rispetto, del risentimento dei mediocri, no. Mi viene in mente una atroce, geniale vignetta del New Yorker (praticamente l’organo ufficiale dei radical chic…) nella quale lo psicoanalista dice al paziente: ‘Le do una buona notizia, mister Taldeitali. Lei non ha alcun complesso di inferiorità. Lei è veramente inferiore’. Quanto alla rabbia degli esclusi, i famosi non rappresentati, abbiamo assistito impotenti, per molti anni, al progressivo incepparsi dei vecchi meccanismi di selezione politica della sinistra. Nel vecchio Pci si sapeva distinguere tra il proletario incazzato, che meritava (e riceveva) tutela e rappresentanza, e il frustrato petulante che veniva invitato, dopo il suo intervento, a smetterla di rompere i coglioni e lasciar parlare gli altri. Ora, ripeto, tutto è da ridefinire e riscoprire. Uno vale uno, purtroppo: e non è la democrazia, è la dismissione progressiva del merito, della cultura, delle competenze. Mettiamola così: comunque si chiamerà, la ‘nuova sinistra’ sarà proprio quel gruppo di persone in grado di distinguere tra il grido degli oppressi e la ciancia degli imbecilli. A volte sono coincidenti, ma più spesso, per fortuna, sono due insiemi non sovrapponibili, e dunque ben distinguibili”.

 

C’è una cosa che colpisce osservando i Cinque stelle. Non hanno ironia né autoironia. Sono feroci, non amano il contraddittorio né essere contraddetti. Specie adesso che sono arrivati al potere. Domanda a Serra, che è un maestro del genere: come si fa a fare satira su un partito fondato da un comico?  “Si può fare satira su tutto ciò che è umano. L’umorismo, dietro una maschera sgangherata, è pura pietà per chi varca il limite e inciampa: noi per primi, ovviamente. Dunque la satira riguarda anche l’incidente, veramente impressionante, che ha condotto un comico a prendere per ‘veri’ i suoi paradossi e i suoi pittoreschi anatemi. Così veri da pretendere che il mondo fosse guaribile dalla Piattaforma Rousseau. Come è noto Rousseau non aveva alcun senso dell’umorismo (a differenza di Voltaire) e in questo senso avere intitolato a lui quello strano arnese cibernetico è un segno, tragico, della morte del senso del limite, dunque della morte dell’umorismo”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.