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Perché è un pericolo opporsi al governo pericoloso con il bluff della “nuova destra”

Claudio Cerasa

Niente giochini. Costruire un’alternativa al populismo seguendo il modello Saviano significa rinunciare a combattere Salvini e Di Maio. E non capire che il bacino elettorale è cambiato per tutti

Quando un governo è appena nato, andare a chiedere all’opposizione di essere “più incisiva” è un esercizio retorico buono per chi non sa come riempire le pagine di un giornale. Per valutare la qualità di un’opposizione, si sa, è necessario valutare la qualità di un governo. Ed è vero che il governo appena nato contiene un numero sconfinato di premesse che dovrebbe far tremare le gambe. Ma è altrettanto vero che fino a quando Di Maio e Salvini e Conte non faranno qualcosa di diverso dal consegnare parole vuote all’opinione pubblica sarà difficile valutare se l’opposizione può davvero essere rimproverata di scarsa incisività. Nell’attesa di capire se il Partito democratico e Forza Italia riusciranno nell’impresa, tutt’altro che impossibile, di creare un’alternativa al governo gialloverde capace di rafforzare l’idea che il bipolarismo del futuro sarà non tra questo governo e ciò che nascerà fuori da questo governo ma tra i due azionisti di questo governo, c’è un elemento di riflessione che andrebbe messo a fuoco per capire in anticipo quali potrebbero essere, soprattutto a sinistra, le premesse giuste per trasformare l’opposizione a Salvini e Di Maio nel nuovo non luogo della politica.

    

Nel corso della sua intervista rilasciata giovedì sera a Bologna al festival di Repubblica a Mario Calabresi e Marco Damilano, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha detto che il governo Conte è un governo che la sinistra non può accettare perché è un governo, aperte virgolette, “di destra”, e per questo da combattere. Le ragioni per cui contro il governo guidato da Salvini e Di Maio vale la pena vigilare, e combattere, sono molte e questo giornale ve ne offre diverse ogni giorno – ogni volta che si parla di democrazia rappresentativa, di rispetto dei conti pubblici, di stato di diritto, di garantismo, di atlantismo, di globalizzazione, di protezionismo, di collocazione dell’Italia nel mondo. Lega e Movimento 5 stelle, come è evidente, hanno avuto il merito, l’unico forse, di aver fatto saltare gli argini delle vecchie divisioni della politica e hanno portato al governo idee non complementari se si pensa alla geografia dell’elettorato ma perfettamente complementari se si pensa alle coordinate comuni che Salvini e Di Maio hanno rispetto al tema dei temi: la vicinanza o la lontananza al partito dell’apertura o al partito della chiusura.

 

Non capire questo, come purtroppo sembra essere intenzionata a fare una parte dell’opposizione, significa non aver capito che il 4 marzo non ha coinciso con una semplice vittoria di due partiti anti sistema ma ha coinciso con un big bang della politica che ha avuto l’effetto di riordinare il campo da gioco, mettendo da una parte i pericolosi partiti della chiusura e dall’altra i coraggiosi partiti dell’apertura. Dire che non esistono più idee di destra e idee di sinistra è ovviamente una stupidaggine colossale – nei manuali americani di macroeconomia degli anni Settanta /Ottanta, come ha scritto spesso il professor Giovanni Tria sul Foglio, si usava distinguere le politiche anticicliche di bilancio cosiddette “progressiste” da quelle “conservatrici” più o meno nel modo seguente: “Di fronte a una recessione – ha ricordato qualche tempo fa l’attuale ministro dell’Economia sul nostro giornale – le prime propugnavano un aumento della spesa in deficit, per poi, superata la recessione, eliminare il deficit con un aumento delle tasse. Una politica conservatrice, al contrario, avrebbe propugnato un taglio delle tasse, per poi eliminare il deficit creato riducendo la spesa. Il risultato della prima politica sarebbe stato un aumento progressivo del peso dello stato, il risultato della seconda una sua riduzione”.

   

Ma immaginare di poter costruire un’alternativa al governo populista spacciandolo per un governo di destra significa ripetere lo stesso errore fatto dal centrosinistra ai tempi di Berlusconi. Significa rinunciare a combattere Salvini e Di Maio anche sui contenuti. Significa consegnare al governo dei populisti alcuni temi che non dovrebbero mai mancare nell’agenda di un partito alternativo a quello sfascista. Significa voler incalzare il governo sulle politiche dell’immigrazione più con la linea dei diritti alla Saviano che con la linea dei doveri alla Minniti. Significa voler incalzare il governo sulle politiche fiscali rivendicando l’idea che sia un errore far pagare di meno i ricchi. Significa volersi tappare gli occhi di fronte al fatto che il “governo di destra”, oggi, su molti temi, dalle pensioni al lavoro fino allo scetticismo sull’Europa e sull’euro, è un governo di sinistra, di estrema sinistra, di una sinistra ultra sindacale. Significa voler creare l’illusione che le divisioni del mondo non siano cambiate e che compito dei nemici di Salvini e Di Maio sia solo quello di andare a recuperare i voti sottratti da Lega e M5s come se gli elettori in fuga fossero degli ombrelli smarriti recuperabili con un giro all’ufficio reclami. Significa tutto questo ma significa anche molto altro. Significa prima di tutto rinunciare all’idea forse più importante: non cogliere l’occasione della nascita di questo governo per riscrivere i confini non della “nuova sinistra” ma del nuovo partito dell’apertura.

 

Un nuovo partito che avrà bisogno di tempo prima di nascere, che avrà bisogno di essere guidato anche da volti diversi rispetto a quelli finora conosciuti e che dovrà ricordarsi che le alternative politiche non si costruiscono solo sulla base di una contrapposizione ma si costruiscono sulla base di un progetto rivoluzionario che mai come oggi non può permettersi di essere solo anti qualcosa. Ci sarà tempo per capire che danni potrà produrre questo governo (e ogni giorno i mercati ci ricordano che i danni potrebbero essere immensi) ma al momento ci sono le premesse giuste per dire che il modo migliore per alimentare il bipolarismo tra Di Maio e Salvini è rifiutarsi di vedere il big bang prodotto dal 4 marzo.

 

L’opposizione a Lega e M5s può provare a rappresentare il 50,1 per cento degli elettori che non hanno votato per questo governo ma per farlo, prima di andare all’ufficio reclami per recuperare gli elettori persi, deve rendersi conto che il proprio bacino elettorale è cambiato. E senza capirlo, l’alternativa al pericoloso governo Salvini e Di Maio (che ogni giorno fa perdere credibilità all’Italia su tutti i mercati finanziari) rischia di essere più simile a una progressiva estinzione che a una gagliarda resistenza.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.