LaPresse/Fabrizio Corradetti

Perché il dramma italiano è il deficit di efficienza, non di moralismo

Claudio Cerasa

L’inchiesta sullo stadio della Roma dimostra che per combattere la corruzione le ricette populiste possono essere persino controproducenti 

Se Virginia Raggi avesse il coraggio di usare contro la sua giunta le parole usate in passato per giudicare i predecessori, di fronte a un sindaco rinviato a giudizio per falso ideologico (Raggi), al suo ex braccio destro arrestato per corruzione (Marra), al suo uomo forte in Consiglio comunale indagato in un’inchiesta legata alla corruzione (Ferrara), al suo uomo forte nelle municipalizzate arrestato nell’ambito di un’indagine per associazione a delinquere (Lanzalone) non avrebbe altro da urlare nel suo megafono se non ciò che lei stessa ha urlato per anni contro i suoi nemici: a Roma c’è un grave problema di deficit di onestà, a partire dagli uomini scelti dal sindaco per governare la Capitale, e per risolvere questo deficit bisogna azzerare tutto e promuovere una nuova ondata di moralismo chiodato.

     

A leggere le ragioni che hanno portato ieri la procura di Roma a ipotizzare un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione nell’ambito del progetto per lo stadio della Roma si potrebbero costruire racconti spassosi sulla meravigliosa moralizzazione dei campioni della morale. E a voler calpestare ogni principio minimo di rispetto delle garanzie degli indagati (cosa che non faremo) si potrebbe lanciare contro il sistema grillino finito sotto inchiesta la stessa accusa utilizzata per una vita dai grillini per inchiodare gli avversari: il problema di Roma, e dell’Italia, è che questo sistema di potere scoperchiato dai pm dimostra che la politica è marcia. La procura di Roma avrà tempo di dimostrare se le sue accuse troveranno riscontri. Ma se c’è un elemento di riflessione utile da mettere a fuoco a prescindere da quale sarà l’esito dell’inchiesta è che ancora una volta dovrebbe essere chiaro che Roma, così come l’Italia, non ha un sistema caratterizzato solo da un grave deficit di moralismo: ha prima di tutto un sistema caratterizzato da un grave deficit di efficienza. La corruzione matura non solo laddove politici e imprenditori mostrano di essere disinvolti a scambiarsi denaro per ottenere favori che non dovrebbero ottenere. Ma matura prima di tutto in quei contesti in cui la presenza di una burocrazia asfissiante, una politica onnipresente, un mercato bloccato, una semplificazione rinviata, un appalto non trasparente, una concorrenza non stimolata, un adempimento formale aggiuntivo e un’amministrazione che scommette più sul moralismo che sul riformismo contribuisce a creare le condizioni affinché le occasioni di corruzione piuttosto che diminuire aumentino a dismisura.

 

Non sappiamo quale sarà l’esito dell’esplosiva inchiesta sullo stadio romano. Ma sappiamo che alcuni degli elementi messi in evidenza dai magistrati romani ci dicono che il “sistema”, come direbbero i grillini, descritto dagli inquirenti somiglia a un’architettura di marchette fatta per bypassare quei percorsi spesso kafkiani di autorizzazioni comunali che potrebbero essere resi più semplici solo a una condizione, che nessun moralista potrebbe mai accettare: scegliere di ingaggiare un’impopolare lotta senza quartiere contro i padroni della burocrazia inefficiente. In uno dei passaggi dell’inchiesta, il pm Paolo Ielo sostiene che l’imprenditore Parnasi (arrestato) e i suoi uomini avrebbero “offerto a Luca Lanzalone (presidente di Acea, avvocato di fiducia dei grillini, ndr) diverse utilità, e tra queste svariati incarichi professionali, al fine di corromperlo, acquisendone il costante asservimento agli interessi del gruppo imprenditoriale” e spiega che il tutto sarebbe stato fatto per elaborare “una soluzione tecnica” per il progetto dello stadio della Roma “finalizzata a consentire un immediato inizio dei lavori senza il ricorso a procedure d’urgenza”, in modo da evitare ricorsi “con conseguente allungamento dei tempi” e per far sì che fosse individuato “un escamotage nell’interesse esclusivo del privato per eliminare gli ostacoli frapposti alla realizzazione del progetto”. Ci sarà modo di capire se le mediazioni offerte dal dottor Lanzalone fossero lecite oppure no. Ma la descrizione fatta dai magistrati dimostra che per combattere la corruzione le ricette populiste possono essere persino controproducenti. Per diminuire la possibilità di avere mazzette non servono più moralisti, non servono più pene, non servono più capri espiatori ma serve più efficienza, più concorrenza e meno burocrazia. Serve insomma quello che nessun populista drogato di consenso potrà mai garantire a un’amministrazione in salute: una politica forte non sottomessa, per dirla alla Francesco Giavazzi, ai signori del tempo perso. E a Roma, anche con Raggi, il tempo perso ormai non si conta più.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.