Luca Lanzalone (foto LaPresse)

Genova-Livorno-Roma: l'ascesa di Lanzalone, l'avvocato che inguaia il M5s

Valerio Valentini

Stupiti? “Stupiti più che altro per i tempi: credevamo ci sarebbe voluto di più. Per scoperchiare il letamaio”, commentano i militanti romani del movimento

Roma. La considerazione che militanti e portavoce del M5s hanno di Luca Lanzalone, sta tutta nell’esultanza un po’ cinica con cui pur nel primo stordimento di ieri mattina, sulle chat interne, si commentava la notizia del suo arresto. “Ma guarda che sorpresa, eh?”, se la ridevano i grillini di seconda o terza fascia – tra loro vari candidati trombati del 4 marzo, collaboratori di parlamentari e pure consiglieri municipali – mentre i deputati e senatori di maggior rango, e di più scaltrita prudenza, restavano perlopiù silenti e guardinghi. Stupiti? “Stupiti più che altro per i tempi: credevamo ci sarebbe voluto di più. Per scoperchiare il letamaio”, scrivevano i militanti romani.

 

La cui reazione non era poi così diversa da quella dei loro colleghi livornesi. Loro, del resto, l’avvocato cremasco specializzatosi a New York, dai modi garbati ma essenziali, con studi legali nella odiamata Genova e nella lontana Miami, se lo erano visto imporre “dallo staff” assai prima. “Fu il sindaco Nogarin a comunicarci il suo ingaggio”, racconta un consigliere pentastellato. “Ma a cosa fatte, alla faccia della partecipazione”, gli fa eco un collega, che il Movimento però lo ha abbandonato. Doveva risolvere il concordato di Aamps, Lanzalone: e a suggerirlo al sindaco grillino pare sia stato Alfonso Bonafede, a sua volta – si dice in città – imbeccato da Sara Virgulti. Ovvero dalla ex fidanzata di Luigi Di Maio, che prima di essere un’aspirante first lady era però una sorta di mental coach dei più promettenti parlamentari del M5s: era lei, insomma, che preparava i grillini più promettenti a reggere l’ansia da prestazione mediatica, ma era anche lei – che vantava all’epoca buone entrature con l’ambasciata americana, e che a Villa Taverna non a caso accompagnò Beppe Grillo nel luglio del 2014, ufficialmente nel ruolo di interprete – a farsi latrice, spesso, degli ordini che partivano dalla sede milanese della Casaleggio. In ogni caso, ci sarebbe l’attuale Guardasigilli anche dietro al trasferimento di Lanzalone nella capitale. Insieme al suo gemello diverso, l’altro ministro del cambiamento Riccardo Fraccaro, Bonafede era appena arrivato, nel gennaio del 2017, come tutor in Campidoglio, quando l’avvocato venne suggerito alla Raggi. A meno che non si creda alla versione ufficialmente accreditata dai vertici del M5s: quella, cioè, secondo cui sarebbe stato lo stesso Nogarin a consigliarlo alla collega romana, durante una riunione dell’Ance d’inizio anno (“Sai, Virginia, Luca ha fatto così bene a Livorno…”).

 

Ma nelle stanze che contano, a Palazzo Senatorio, Lanzalone aveva già messo il naso: nell’agosto del 2016, quando era stato proprio lui – “su indicazione di Casaleggio”, dirà poi l’ex assessore ai Rifiuti Paola Muraro – a fornire una rosa di nomi da cui poi fu scelto il nuovo direttore generale di Ama, Stefano Bina. Lanzalone, invece, il suo posto al sole lo trovò in un’altra municipalizzata: la Acea. Fu lì che, come riconoscimento per il buon lavoro svolto sullo stadio della Roma, venne nominato presidente. Era la primavera del 2017, e l’ascesa dell’avvocato sembrava ancora inarrestabile.