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I conti con il nuovo bipolarismo

Claudio Cerasa

Perché saranno gli imprenditori, e i mercati, a tenere in piedi l’Italia

Quale che sia il destino dell’ultima triangolazione tra Matteo Salvini, Luigi Di Maio e Sergio Mattarella, nel futuro della politica italiana ci sarà una domanda a cui un pezzo importante di classe dirigente dovrà provare a rispondere in fretta: meglio attaccare a testa bassa o meglio provare a educare? La formidabile lettera inviata ieri ad alcuni giornali dall’imprenditore Lupo Rattazzi per mostrare la non credibilità della Lega e del Movimento 5 stelle sul tema dell’euro è una prima possibile risposta alla nostra domanda: cari amici imprenditori, non facciamoci fregare dalla forma presentabile che potrebbe avere questo governo, perché chi ha a cuore l’interesse nazionale non può permettersi di dare credito a chi mette in discussione la credibilità di un paese. Il tema che emergerà però sempre con più forza dal momento in cui Salvini e Di Maio saranno ufficialmente al governo è che in realtà, in Italia, la linea Rattazzi ha buone possibilità di essere se non inesistente certamente minoritaria. E chiunque abbia avuto la possibilità nelle ultime settimane di partecipare a una qualsiasi cena in compagnia di qualche imprenditore, qualche manager o qualche grand commis si sarà accorto che l’assenza plastica di una alternativa al modello sfascista ha avuto l’effetto di far scattare nella testa della classe dirigente del nostro paese un ragionamento chiaro che potremmo sintetizzare così: combattere quei due, oggi, non ha senso, perché oltre a Di Maio e a Salvini in giro non c’è nessuno su cui valga la pena scommettere e per questo il tema non è tanto se sia giusto o no attaccare il contratto giallo-verde ma è semplicemente, oggi, chi scegliere tra i due. La strategia del “mettiamoli alla prova” e del “vediamo che sanno fare” è una strategia spericolata perché incorpora un rischio evidente.

 

Dar credito a un contratto che solo per le sue premesse ha bloccato per un mese il sistema finanziario italiano significa scegliere di vedere solo quello che si vuole vedere tra le idee dei barbari oggi a un passo dal governo. Dar credito a un governo che solo per le sue premesse dovrebbe far tremare i polsi a chiunque abbia a cuore i princìpi basilari dello stato di diritto, significa dire che le idee vincenti diventano giuste solo perché hanno preso più voti. Dar credito a un contratto che solo per le sue premesse dovrebbe far tremare i polsi a chiunque abbia a cuore i princìpi basilari della democrazia rappresentativa, significa dire che in mancanza di qualcosa di meglio piuttosto che impegnarsi per avere alternative migliori di queste bisogna semplicemente sorridere di fronte a ciò che rappresenta il meno peggio. A prima vista, la strada del compromesso con gli sfascisti potrebbe sembrare suggestiva e potrebbe apparire l’unico percorso possibile in presenza di un’alternativa che non c’è, da circolo degli scacchi.

 

Eppure le cronache di questi giorni ci dicono che gli imprenditori che salveranno l’Italia non sono quelli che si turano il naso, che si tappano gli occhi, che sognano di salire al volo sul primo taxi populista. Sono quelli che attaccano. Sono quelli che provocano. Sono quelli che incalzano. Sono quelli che combattono. Sono quelli non disposti ad accettare che il settimo paese più industrializzato del mondo sia rappresentato da un ministro intenzionato a uscire dall’euro. Sono quelli che hanno spiegato agli investitori internazionali che un programma senza coperture è un programma che mette a rischio l’Italia. Sono quelli che hanno spinto Sergio Mattarella a dire no a Paolo Savona. Sono quelli che hanno spinto Matteo Salvini a non insistere con Paolo Savona. Sono quelli che hanno spinto Luigi Di Maio a non scherzare con lo spread.

 

I novanta giorni di consultazioni hanno destabilizzato da molti punti di vista l’Italia ma un merito lo hanno avuto: ci hanno dimostrato che il bluff sovranista lo si può mettere a nudo solo senza essere complici dello sfascio. Saranno gli imprenditori, e forse anche i mercati, a tenere in piedi l’Italia. Ma lo potranno fare solo a condizione di non essere neutrali. E’ attaccando, non accettando, non rinculando, che si può salvare il paese. In fondo è bastato qualche giorno di turbolenza sui mercati per convincere i partiti antisistema a rimettere tra le gambe la coda della pazzia. E se fosse il nostro vecchio amico fogliante Giovanni Tria il prossimo ministro dell’Economia non potremmo che ribadire un concetto semplice: che Dio benedica i mercati.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.