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Così nacque la Terza Repubblica, fra le risate del mondo intero

Giuliano Ferrara

Del suo diritto-dovere il Colle non ha saputo che farsene e nella repubblica populista c’è un guaio: non ci sono garanzie

Il sacrificio della Patria è consumato, che sarebbe un verso immortale del Foscolo secondo Gadda. Subita una strigliata squadrista dell’intera famiglia Di Battista, l’ex presidente della Repubblica ha messo il suo timbro notarile sulla più extracostituzionale delle procedure per un ricambio di governo all’indomani delle elezioni. Chissenefrega del curriculum farlocco, fatto è che non puoi prendere la Costituzione per la coda, per quanto sia la più bella del mondo e la più irriformabile. Tanto irriformabile che l’hanno cancellata. Non già con il varo, buono per i gonzi, di una Terza Repubblica, ma con il trionfo di un vecchio rito partitocratico, senza salvare le forme, che della legge fondamentale dello stato sono il succo.

  

I Padri della Patria, il cui sacrificio fu consumato ieri, avevano deciso per un presidente eletto dal Parlamento con una specie di rito massonico, senza candidature e senza programmi contrapposti, estratto da un bossolo incappucciato, al riparo da ogni tentazione populista, per così dire. Poi, insignitolo dei titoli necessari concernenti Forze armate e magistratura, e definitolo come custode del giuramento costituzionale, lo avevano corazzato di mille limiti operativi, e di due soli veri poteri: il diritto di esternazione, di cui l’ex presidente della Repubblica non sa che farsene, e sopra tutto il diritto-dovere di decidere il nome del capo del governo o presidente del Consiglio dei ministri, per concertare con lui, e con una maggioranza possibile che si forma nella dialettica dei partiti, i nomi dei ministri e dei sottosegretari, prima del voto di fiducia delle Camere. Del suo diritto-dovere l’ex presidente non ha saputo che farsene, e così la sua funzione è morta.

  

C’era una ratio in tutto ciò, non so se la più bella del mondo, ma una ratio. Nominando il presidente del Consiglio con il criterio politico del consenso parlamentare e altri criteri curricolari, che poi nella prassi si esprime in consultazioni che nessuno obbliga i presidenti a tenere, il capo dello stato, quello che fu e non è, si garantiva un decisivo potere di iniziativa e di indirizzo, ed era qualcosa di più di un maestro di cerimonia notarile delle istituzioni, un vero garante. Molti presidenti nella storia hanno esagerato, chi in bene chi in male, nessuno aveva esagerato in nullismo, in afasia politica, in rinuncia a un qualunque esercizio di una prerogativa scritta e definita negli articoli costituzionali che regolano il suo potere. Da noi stavolta è andata come è andata, e nessuno che non sia un formidabile bugiardo lo può negare. Accertata passivamente l’inesistenza di una maggioranza precostituita, Mattarella, ex presidente, ha minacciato un governo tecnico di transizione a un nuovo voto, preso dalla disperazione, dopo molta perdita di tempo. I capi di due partiti che fanno maggioranza alla Camera e al Senato hanno a quel punto preso la palla al balzo e si sono accordati su un contratto privato spacciato per programma, nel corso di una lunga e brodosa deroga ai tempi concessa dal Quirinale non interventista, arrogandosi il potere di definire loro il capo del governo ex post e i ministri, facendone comunicazione irrispettosa a un ex capo dello stato. Poi giù botte degli squadristi dibattisti, infine convocazione al Quirinale del prescelto. Nemmeno un teatrino di recupero costituzionale formale si è concesso il nostro ex. Poteva obiettare, prima spiegando ai grillozzi che gli recapitavano il famoso “governo eletto dal popolo” che se lo potevano mettere su per il culo, specie prima delle elezioni (potere di esternazione); poi, a tempo della partita costituzionale scaduto, dicendo a loro e al Dux nazionalista padano che, se davvero volevano tempo per accordarsi e varare un qualunque governo parlamentare di maggioranza spacciandolo per una svolta di sistema, allora dovevano riunirsi con un capotavola deciso da lui in accordo con loro, preventivamente (potere di nomina). Niente. Niente di niente. Così nacque la Terza Repubblica, fra le risate del mondo intero e la febbricitante attesa di altre cattive notizie che aleggia intorno allo studio stordito del notaio e alle nostre case e casse.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.