Luigi Di Maio al Duomo di Napoli durante il miracolo di San Gennaro al Duomo di Napoli (foto LaPresse)

Anche su islam e religione il contratto Lega-M5s non tiene conto di realtà e Costituzione

Pasquale Annicchino

La bozza presentata dai due partiti affronta anche i rapporti con la Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose

Cominciamo con i complimenti. Negli ultimi anni raramente abbiamo assistito a forze politiche che nei loro programmi di governo affrontano direttamente il nodo di quella che nella Prima Repubblica si sarebbe definita la “politica ecclesiastica”. I rapporti non solo con la Chiesa Cattolica, ma anche con le altre confessioni religiose. Il tema è invece affrontato nella bozza del “Contratto per il governo del cambiamento” delle ore 11 del 17 maggio 2018. C’è quindi da sottolineare che il testo potrebbe essere oggetto di revisione. Comunque bene, almeno c’è una riflessione in merito. Leggendo si potrebbe pensare a un testo di chiara ispirazione leghista, visto che sul tema dei rapporti con l’Islam si registrano poche prese di posizione degli esponenti del movimento cinque stelle.

 

Personalmente mi è tornata in mente un’intervista di Lilli Gruber ad Alessandro Di Battista nel libro “Prigionieri dell’Islam” pubblicato dalla Gruber per Rizzoli. Intervista notevole da diversi punti di vista. Innanzitutto perché ben spiega l’atteggiamento di una parte della stampa nei confronti dei cinque stelle. Così la Gruber lo descrive: “Di Battista arriva con il suo giubbotto da motociclista e il suo sguardo intenso, sistema le lunghe gambe sotto il tavolo non senza problemi d’incastro, ordina una fetta di torta al cioccolato. E si dispone a spiegarmi cosa pensa, dell’immigrazione e dell’Islam”. E cosa pensa? La risposta è tutta nel titolo del capitolo della Gruber: “Alessandro Di Battista, un conservatore a 5 stelle”. Non deve sorprendere allora se sia stato possibile trovare un accordo tra Lega e Cinque Stelle su alcune misure come quelle previste dalla bozza del “Contratto per il governo del cambiamento”. Innanzitutto, la questione è affrontata nel paragrafo 12 “Immigrazione: rimpatri e stop al business” segnale importante che colloca la questione “Islam” in un preciso immaginario politico di riferimento. Peccato che ci siano ormai numerosi cittadini italiani fedeli dell’Islam e che il tema dei rapporti con le confessioni religiose sia un tema di assoluto rilievo costituzionale relativo all’esercizio dei diritti civili. Vengono poi avanzate alcune proposte che riguarderebbero le “altre” confessioni religiose. Non si capisce “altre” nei confronti di chi, immaginiamo della Chiesa Cattolica. Si specifica poi che l’obiettivo è quello di “prevenire eventuali infiltrazioni terroristiche”, probabilmente non si sta parlando dei quaccheri. E’ già una sfilza di misure tra cui: il registro dei ministri di culto, tracciabilità dei finanziamenti per i luoghi di culto. Scompaiono le prediche in lingua italiana che erano presenti nella versione precedente del testo (un obbligo in tal senso sarebbe sicuramente una violazione dell’art. 8 comma 2 della Costituzione).

 

Nel paragrafo successivo si prevede inoltre una “legge quadro sulle moschee e luoghi di culto che preveda anche il coinvolgimento delle comunità locali”. Scompare in questo caso la formula che prevedeva “la consultazione popolare preventiva tramite referendum consultivo comunale”. Si tratta, a ben vedere, di misure, alcune di chiaro intento discriminatorio, pensate solo per l’Islam e che se implementate in tal modo andrebbero incontro a seri rischi d’incostituzionalità. Certo siamo ancora ad un livello generico e bisognerà attendere eventuali testi di legge. Intendiamoci, non che il problema del terrorismo o della tracciabilità dei finanziamenti non esista. Ma occorre muoversi nel quadro costituzionale tenendo ben a mente quali sono i limiti per intervenire. Al Viminale c’è un rapporto depositato qualche mese fa dove si affrontano tutti questi nodi, Di Maio e Salvini potrebbero chiederne una copia in visione ascoltando con attenzione prefetti e funzionari che nell’assenza della di una vera e propria politica ecclesiastica hanno spesso fatto opera di supplenza.

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