Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Perché le idee economiche di Lega e M5s sono un pericolo per l'Italia

Veronica De Romanis

L’unico risultato rischia di essere quello di isolare l’Italia in Europa e di fargli perdere credibilità

L’ultima versione del Contratto di Governo tra Movimento 5 Stelle e Lega contiene diverse novità rispetto alla Bozza circolata nei giorni scorsi. Tra queste vi è quella relativa al debito pubblico detenuto dalla Banca centrale europea attraverso lo strumento del Quantitave Easing (in realtà, il debito è acquistato dalla Banca d’Italia). Niente più richieste di cancellazione per 250 miliardi (difficile capire come sia stata calcolata questa cifra considerando che la Bce sostiene – nell’eventualità di un default – solo l’8 per cento del rischio complessivo, il restante 92 per cento resta in capo alle banche centrali nazionali), bensì una modifica delle regole contabili per escludere dal calcolo del rapporto debito/Pil la parte attinente al QE. Una simile regola, come spiegato dagli economisti della Lega, andrebbe a beneficio di tutti i 19 paesi dell’area dell’euro, non solo dell’Italia. Per valutare un cambiamento che trasformerebbe drasticamente i rapporti tra la politica monetaria europea – implementata da Francoforte – e le politiche fiscali – decise dai governi nazionali –, è necessario chiarire almeno tre punti: con chi il futuro esecutivo giallo-verde intende sollevare questa istanza, come intende portarla avanti, e a che scopo.

 

Primo, le alleanze. Per cambiare le norme è necessario cambiare i Trattati e ciò richiede l’unanimità. C’è da chiedersi, allora, chi potrebbe essere interessato a questa nuova regola. La risposta la possiamo trovare guardando i dati del 2017. Il debito medio dell’area dell’euro è stato pari all’88,8 per cento del Pil. Undici paesi, tra cui Irlanda e Portogallo (salvati durante la crisi con i soldi dei contribuenti europei) sono sotto questa soglia, quattro – tra cui Francia e Spagna – sono di poco superiori alla media e solo tre – Portogallo (125,7 per cento), Italia (131,8 per cento) e Grecia (178,6 per cento) – sono ben altre il 100 per cento. Ad esclusione della Grecia –ancora sotto programma di aiuti –, e del Portogallo – guidato da un governo che intende proseguire sulla strada del consolidamento fiscale (come richiesto dall’allora Presidente della Repubblica Cavaco Silva al momento del conferimento dell’incarico al premier Costa) –, cancellare una parte del debito attraverso artifici contabili sembra essere una esigenza soltanto italiana. In un simile contesto, trovare alleati risulta assai complicato. Peraltro il ricorso a artifizi contabili renderebbe la lettura dei conti pubblici meno agevole per i cittadini e per chi volesse investire nel nostro paese. Ma la trasparenza non era uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 Stelle?

 

Secondo, la strategia. Condurre una battaglia, che rischia di vederci alleati solamente con il governo di Atene e quindi di trasformarsi in un fallimento, necessita di un piano B. Che si fa una volta realizzato che in Europa conta la cooperazione e non la contrapposizione? Si esce dall’euro? Si minaccia di uscire dall’euro? Ma questo non è quello che i cittadini hanno chiesto al momento del voto, visto che l’abbandono della moneta unica non era nei programmi né del Movimento 5 Stelle né – almeno non così esplicitamente – della Lega. Non sarebbe meglio battersi in Europa per ciò che davvero i cittadini hanno chiesto lo scorso 4 marzo come le politiche volte a gestire l’immigrazione oppure quelle volte a aumentare l’occupazione giovanile?

 

Terzo, l’obiettivo. Cambiare le regole avrebbe come scopo quello di ampliare i margini di bilancio.  La logica seguita da chi ha partecipato alla stesura del Contratto è che con maggiore debito si potrebbe ottenere maggiore crescita. Come illustrato precedentemente, l’Italia ha il secondo debito più elevato e nel periodo 2015-2018 ha ottenuto 42 miliardi di flessibilità – ossia più tempo per raggiungere gli obbiettivi fiscali concordati con Bruxelles – eppure è il paese che è cresciuto meno (1,5 per cento contro il 2,4 per cento della media dell’eurozona), a dimostrazione che non è con il debito che si crea sviluppo economico.

 

A conti fatti, l’unico risultato di una simile battaglia rischia di essere quello di isolare l’Italia in Europa e di fargli perdere credibilità nelle importanti discussioni che si terranno nei prossimi mesi, dal bilancio europeo alla riforma dell’architettura monetaria.   

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