Il deputato grillino Alfonso Bonafede (foto LaPresse)

A Siena il M5s rischia la diaspora

Valerio Valentini

Lo staff si rifiuta ancora di certificare la lista, e i grillini rischiano di non poter correre alle comunali. L'imbarazzo dei parlamentari toscani, e la rabbia dei militanti locali che temono “una ritorsione” per le proteste sul caso Caiata

Se lo stallo romano si prolunga da ormai sessantacinque giorni, quello senese, almeno per il M5s, dura almeno da quarantasei. Ed è solo meno apparentemente sfibrante. Visto che, mentre per la creazione del governo non ci sono scadenze formali, nel capoluogo toscano l'ora del non ritorno è imminente. E anche per questo le ansie e la rabbia degli attivisti locali si fanno sempre più aspre. Venerdì è il termine fissato. Entro l'11 di maggio, infatti, vanno depositate le liste per la partecipazione alle elezioni comunali. E però, alla sfida del 10 di giugno, il M5s rischia di non poter neppure partecipare. Dai vertici del Movimento, infatti, non è ancora arrivata la liberatoria sull'uso del simbolo: nulla osta necessario per poter poi presentare la lista, che va peraltro corredata con le firme del caso. Sono duecento, non tantissime: ma vanno raccolte e certificate, a questo punto, in pochissime ore, con una corsa contro il tempo che nessuno, tra i grillini senesi, riescono a spiegarsi. “E anzi - protestano portavoce e militanti locali - ormai sembra sempre più evidente che si tratti di un sabotaggio interno”.

 

Era da poco passata la metà di marzo, quando i responsabili cittadini hanno compilato la lista che dovrebbe sostenere Luca Furiozzi come candidato sindaco. “Ventisette senesi pronti a portare il cambiamento”, esultavano. Hanno chiesto, come d'obbligo, la certificazione allo staff, entità indefinita che tutto controlla e tutto comanda, nel Movimento, senza però ricevere alcuna risposta. Dacché prima lo stupore, poi il malumore, e ora i sospetti hanno assalito i grillini locali. La convinzione che sta maturando, a Siena, è che la mancata liberatoria sull'uso del simbolo sia una forma di ritorsione da parte dei vertici milanesi e romani nei confronti di chi, nel pieno della campagna elettorale, osò contestare l'opportunità di certe candidatura. E di una, in particolare: quella di Salvatore Caiata, patron del Potenza Calcio e schierato nell'uninominale del capoluogo lucano, ma con un passato recente senese né trasparente né confortante, secondo le logiche grilline. “In verità - precisano gli attivisti toscani - non fummo noi a sollevare il problema. Semplicemente, dei militanti della Basilicata ci chiesero informazioni sulla figura di Caiata, e noi gliele demmo. Del resto - proseguono - non era un mistero che avesse ricoperto incarichi in altri partiti, né che avesse gestito i suoi affari in modo non esattamente cristallino”. Ne seguirono polemiche e lamentele non proprio timide da parte del M5s locale, che a suo modo dimostrò di averci visto lungo, in ogni caso. Di lì a pochi giorni, infatti, divenne di pubblico dominio - grazie a un articolo di David Allegranti sul Foglio - il fatto che Caiata era stato, nel 2009, membro del coordinamento provinciale del Pdl; e subito dopo il nome del patron del Potenza finì nel registro degli indagati della procura di Siena per riciclaggio. Solo a quel punto Luigi Di Maio decise di espellerlo dal M5s, non impedendogli comunque di essere eletto nell'uninominale di Potenza e finire alla Camera (dove ora Caiata si industria assai per costruire un gruppo di responsabili). 

 

Sta di fatto che ora il sospetto sempre più acuto tra i grillini senesi è che la mancata certificazione della lista sia una sorta di vendetta messa in atto dallo staff. Tesi di fronte alla quale Michele Pinassi, consigliere comunale da 5 anni e tra i più attivi sostenitori di Furiozzi, quasi sobbalza. “Non voglio neppure pensare all'ipotesi che si tratti duna ritorsione. Non avrebbe alcun senso. E se poi così davvero fosse, sarebbe gravissimo”, dice al Foglio Pinassi, che in queste settimane su Facebook non ha certo taciuto il suo “senso di impotenza e vaga delusione” per il protrarsi dell'attesa.

 

 

E non ha neppure rinunciato a esibire il suo imbarazzo in un videocommento, per lanciare un appello ai livelli più alti dei referenti locali del M5s. Il consigliere regionale Giacomo Giannarelli – che intercettato dal Foglio dice di non aver “intenzione di rilasciare alcuna dichiarazione sul caso” – e, tra gli altri, la senatrice carrarese Laura Bottici. Lei si schernisce, dice che “lo staff è l'unico referente per le liste” e che “spesso le certificazioni sono arrivate all'ultimo momento”. Poi, quando le si fa notare che i tempi stringono e che il ritardo ormai è sospetto, si limita a ribadire: “Ho sempre avuto piena fiducia nello staff”. Nella carambola di nomi tirati in ballo sulla faccenda è finito anche Alfonso Bonafede, uomo di assoluta fiducia di Di Maio. Anche lui, ministro della Giustizia in pectore nel fantagoverno M5s, in realtà mostra stupore: “Non so dire quale sia il motivo di questa lungaggine, ma neppure so perché si parli di me come di uno che abbia a che fare con questa faccenda”. 

 

Sta di fatto che i grillini senesi aspettano, temendo peraltro che la loro attesa sia vana. “Il M5s ha sempre usato Siena come palcoscenico per le sue battaglie sulle banche, in tanti deputati sono venuti qui per motivi elettorali, e ora ci lasciano così, senza neppure uno straccio di spiegazione”, protesta in chat un attivista. Che conferma che sì: in caso di mancata autorizzazione, sarebbero in parecchi a valutare se restare ancora nel M5s. 

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