Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Berlusconi e Salvini, ovvero: come farsi lasciare in 48 giorni

Salvatore Merlo

Il Cav., il divorzio col leader della Lega e la successione impossibile

Roma. Sono passati 48 giorni dalle elezioni. E ora vien fatto di pensare alla sua esperienza matrimoniale con Matteo Salvini come a una prigione, e ai suoi evidenti e reiterati tentativi di fuga come a un proposito di giustizia. “Berlusconi è gigantesco, enorme, imprendibile e ovviamente non conosce altro leader all’infuori di sé”, dice sempre Denis Verdini, che del Cavaliere conosce fantasie, moine, umori sinistri e inerzie di sasso. Perché davvero c’è qualcosa di pre-politico e forse persino di freudiano in questo Silvio Berlusconi che spodestato dal trono di capo del centrodestra non riesce a trattenersi davanti alle telecamere, e allora, istrione sapiente, ruba la scena di Salvini al Quirinale, poi però si morde le labbra con ragionevole impazienza, e infine, venerdì in Molise, si libera dalla guardianìa dei suoi collaboratori, li respinge: “Fatemi parlare, fatemi chiarire”, li rimprovera. Così, di fronte ai microfoni, si abbandona a dire tutto quello che pensa del M5s e di Luigi Di Maio, cioè di quelli con i quali intanto Matteo Salvini prova a sciogliere un negoziato e stringere un accordo. “Nella mia azienda li prenderei per pulire i cessi”. Poi: “Sono un partito di disoccupati”. E ancora: “Nel 1994 scesi in campo per tutelare l’Italia dagli ex comunisti e oggi devo tornare in campo per difendere il mio paese dal M5s. Mi sono abbastanza rotto!”. E infine: “Ho verificato quanto siano un partito non democratico, un pericolo per l’Italia”.

 

Sarà certo l’agonismo della campagna elettorale ad accenderlo di ardore combattivo, come dice cauta Mariastella Gelmini, e sarà anche vero che si tratta di un “comprensibile fallo di reazione agli insulti subìti”, come dice Giovanni Toti, ma il Cavaliere si atteggia a Titano ribelle, mezzo Prometeo mezzo Anticristo, chiamato dal destino a riprendersi il trono e la libertà. “Non tollerava i leader che designava lui stesso come suoi eredi, figurati come potrebbe mai tollerare un condomino prepotente come Salvini, uno che gli è entrato in casa dando scappellotti al bambino e calci al cane”, sorride il vecchio Fabrizio Cicchitto, con l’aria di chi la sa lunga sul conto del Cav. 

 

Il cosmo che lo ordina e lo spirito che lo abita sono irrevocabili, Berlusconi è protagonista o non è. Così persino la condanna a dodici anni comminata venerdì a Marcello Dell’Utri nel processo sulla Trattativa – in questo suo complesso e forse addirittura (in)consapevole, freudiano tentativo di provocare il divorzio – per il Cavaliere diventa un alibi, una scusa, un’occasione che lo allontana dal segretario della Lega e dalle sue ambizioni di governo a cinque stelle, un’opportunità per riacquistare la libertà, riprendersi la casa, farsi lasciare lui da Salvini che intanto corre verso Di Maio come nella scena dell’Ultimo bacio, il film di Gabriele Muccino. Immediatamente, infatti, la condanna di Dell’Utri ha scatenato l’entusiasmo del M5s, che invita il capo della Lega a disfarsi del Caimano: “Salvini decida”. Ma se Salvini non decide? E’ Berlusconi che lo aiuta a farlo.

 

Così il Cavaliere preferisce l’alleanza con il Pd e dice “mai con i Cinque stelle”, mentre Salvini preferisce l’alleanza con i Cinque stelle e dice mai con il Pd. E mentre i tanti filoleghisti di Forza Italia, come Ghedini e Toti, temono e svengono, circondano il Cavaliere e lo fanno sorridere al “centrodestra unito”, troncano e sopiscono, Salvini comincia a sospettare che lo si voglia costringere e ingabbiare verso un governo con la regia Gianni Letta-Mattarella-Pd, un governo che di fatto segue uno schema che non è il suo.

 

Insomma tutto, il pasticcio della politica, il marasma delle strategie e delle velleità, delle troppe contraddizioni, ogni tessera di questo puzzle politico sembra suggerire il divorzio tra il Cavaliere e Salvini. Eppure in questa storia di amori oscuri e negati la politica c’entra e non c’entra. C’è qualcosa di più, o di meno, qualcosa che la travalica e ne prescinde, “perché se fosse solo politica sarebbe anche aggiustabile”, ride Cicchitto. “Berlusconi non conosce altro leader all’infuori di sé”, dice Verdini. E questo, sì, non è aggiustabile.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.