La prima seduta della 18esima Legislatura (foto LaPresse)

Calma, l'elezione dei presidenti non c'entra nulla col governo

Giuliano Ferrara

Il precedente del 2013, il Pd che si trasforma in pallina da ping pong e una certezza: alla fine lì si torna, Flick o Flock

Governo e Camere, che passione. E’ difficile fare la nota politica da Parigi, Massimò Francò e Stefanò Follì o il grande Marcel, città dove mi trovo perché un pensionato certe cose le deve vedere da una debita distanza, ma ci si può provare. Dunque. La relazione tra elezione dei presidenti di Camera e Senato e il prossimo governo è zero su zero. Se Berlusconi la spuntasse su Romani al Senato al ballottaggio, perché Salvini ancora non ha rinunciato a chiedere un giro di incarico a nome della coalizione vittoriosa, ma senza maggioranza autosufficiente né altra coalizione possibile che con i 5 stelle, e dunque non vuole rompere e desidera portare all’accordo finale con Di Maio tutto il centrodestra, ciccia, il gioco del governo non riparte affatto da zero, salvo chiacchiere e lamentele varie, riparte dall’esito del voto popolare, che ha parlato chiaro. Se alla Camera non venisse eletto un 5 stelle, eventualità improbabile perché Salvini non ha interesse a una forzatura al buio, e non ci sono i voti per un’alternativa (maggioranza assoluta), tutto si complicherebbe, ma è ipotesi assai remota: sarà un 5 stelle con i voti dei suoi e della Lega o forse di tutto il centrodestra.

 

Comunque, vediamo che cosa accadde nel 2013, all’inizio della scorsa legislatura. Bersani, stratega finissimo e lungimirante, dotato del premio di maggioranza alla Camera, impose due figure modeste, che dopo cinque anni da scaldadivani sono tornate all’ovile per quella grande avventura elettorale di Liberi e uguali, e le impose perché pensava di poter fare un governo contro-natura, con i grillini di allora. Le Camere andarono in una direzione, il governo fu quello necessitato dal voto, prima un’alleanza seria del Pd con Berlusconi, e Letta e il cacciavite, poi il suo surrogato con Alfano, infine il Nazareno con il grande Verdini. Governo e Camere non hanno questo gran rapporto, quindi, e la relazione tra le due procedure anche allora, con il maggioritario alla Camera e il meno maggioritario al Senato, fu zero su zero. Eletti come possibile i presidenti delle Camere, tra capricci e invenzioni parlamentaristiche, poi si deve fare una maggioranza con realismo, come disse allora il rieletto presidente Napolitano e come ha ripetuto ieri al Senato Napolitano decano dell’assemblea.

 

La parola, dopo questo torneo non così rilevante per decidere seconda e terza autorità dello stato, passerà alla prima autorità dello stato, Mattarella. Se Salvini e Di Maio non si accorderanno prima per una indicazione terza alla presidenza del Consiglio, visto che sono due vincitori e non uno, e dunque devono fare un compromesso, sarà Mattarella a chiedere un chiarimento, molto probabilmente, cioè un nome per una maggioranza effettiva. Magari ci sarà qualche giro, ancora timori e tremori per soluzioni alternative che allo stato non hanno senso, e in futuro ancora meno, ma alla fine lì si torna, Flick o Flock. L’unico elemento di imbarazzo è il Pd, che da ultimo partito costituzionale e professionale si sta trasformando in una palla da ping pong giocata da una squadretta mediocre di mediocri, brutto effetto della sconfitta, all’inseguimento di una salvezza impossibile nel nuovo quadro politico, nel segno di un banale trasformismo. Si stanno a domandare perché hanno deluso i “ggggiovani” e perso il contatto con il “malessere sociale”, invece di riflettere con toni meno elegiaci sull’errore di non aver votato Amato presidente della Repubblica confermando il Nazareno, cosa cui sarebbe seguita la vittoria nel referendum, e oggi staremmo a parlare con toni favolistici del macronismo all’italiana da partito della nazione. Il Pd deve scegliere idee per l’opposizione a un governo di necessità, che farà dell’Italia lo zimbello dell’Europa e del mondo, con ogni probabilità, e un capo capace di realizzarle come alternativa altrettanto necessaria e urgente, riscoprendo il carattere perduto dopo lo sfinimento del renzismo. Ma che si mettano al lavoro invece che a disposizione dell’ultimo leghista o grillino di passaggio.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.