La rimborsopoli M5s e i dolori del sen. avv. Buccarella
Le acrobazie retoriche del parlamentare grillino: “Mi tenevo i soldi ma…”
Roma. Non fa una piega quello che dice. Ed è impossibile non esclamare: bravo Buccarella! Sei tutti noi! Ascoltate la percussione delle parole, mentre il senatore del M5s – espulso – spiega con logica civile e politica la ragione per la quale non ha restituito quella parte del compenso da parlamentare che si era impegnato a rimborsare. “Nel tempo mi sono reso conto che la regola non si dimostrava adeguata alle esigenze di chi appartiene a una categoria professionale, come la mia, che, a fronte di costi e responsabilità che permangono nel corso del mandato parlamentare, non consente una sospensione dell’attività per un lungo periodo senza conseguenze”.
E insomma, con aria solenne e compresa, il senatore grillino, che fa l’avvocato nel Salento, sta dicendo che la politica ha un costo. Sta spiegando alle nostre incredule orecchie – lui, il grillino – che impegnarsi davvero in politica sottrae tempo (e denaro) all’attività professionale di chi rappresenta i cittadini nelle istituzioni. E quindi la sua, in fondo, dice Buccarella, è stata una debolezza giustificata “a fronte dell’impegno profuso nell’attività parlamentare e ai sacrifici che imponevo a me, alla mia famiglia e al mio lavoro per sette giorni alla settimana”. I soldi se li è tenuti perché sennò ci rimetteva. Ecco un discorso costituzionalmente e culturalmente ineccepibile, che spiega perfettamente la ragione per la quale, per esempio, esistevano i vitalizi. Un discorso da applausi, si diceva, certo. Se solo però l’avesse firmato, poniamo, l’avvocato Franco Coppi, un principe del foro che guadagna centinaia di migliaia di euro l’anno, o un avvocato di media caratura, uno che insomma a fare il parlamentare ci rimetterebbe sul serio tempo e denaro. Non Buccarella Maurizio da Lecce, che arrivato a Roma nel 2013 a bordo di una Toyota Celica del 2000, dichiarava un reddito pari a 11.000 euro all’anno, cioè novecento euro al mese.
Il suo sacrificio professionale è stato infatti talmente sanguinoso che dopo otto mesi a Palazzo Madama – oltre ad aver comprato la macchina nuova – Buccarella è passato a settemila euro al mese. E non finisce qua. L’anno successivo, il 2014, il reddito da parlamentare di Buccarella è salito a 106 mila euro, mentre i guadagni dichiarati da attività professionali, quelli “danneggiati” dall’impegno parlamentare, sono arrivati a dodicimila euro l’anno, ovvero mille in più rispetto a quando era entrato in Parlamento, per un reddito complessivo di 118 mila euro. Il che significa che il povero Buccarella nel 2014 ha guadagnato appena undici volte di più rispetto a quando non faceva il senatore. Nel 2015, poi, il suo reddito da parlamentare si è assestato a 102 mila euro, con un reddito da avvocato-senatore balzato a 23 mila euro, il doppio rispetto a quando era un avvocato-cittadino. Per un totale di 126 mila euro. Infine, nel 2016, Buccarella dichiara 106 mila euro da parlamentare. E qui in effetti c’è il calo sostanziale. L’anno “brutto”. L’anno della crisi nera. Il suo reddito da avvocato cala a quattro mila euro l’anno. E il totale dei suoi redditi, purtroppo, scende a 110 mila euro. Appena dieci volte di più di quanto guadagnava prima di diventare senatore. E in sostanza il ragionamento di Buccarella è giusto. Solo che lui è l’esempio sbagliato. Parla da grande avvocato e da statista, ma a ben guardare è solo uno che ha vinto la lotteria di Grillo e Casaleggio.
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