Arturo Parisi (foto LaPresse)

La festa democratica della Ditta e i malmostosi del passato

David Allegranti

Parla Arturo Parisi: “La sinistra non ha mai voluto riconoscere veramente il Pd come un partito nuovo”

Roma. “A prescindere dal vincitore di turno, un successo per la democrazia. Una volta Bersani disse che il Pd è un bene comune, una infrastruttura della democrazia di tutti. Son sicuro che ieri (domenica, ndr) abbia sentito più di un fischio alle orecchie”. Arturo Parisi, gran teorico delle primarie, non capisce la disaffezione che la sinistra scissionista mostra nei confronti di strumenti che un tempo piacevano anche alla “Ditta”. Vedi i congressi di circolo del Pd che domenica hanno regalato la vittoria a Matteo Renzi tra gli iscritti. “In una società che sulla scia di Bauman tutti riconoscono ogni giorno più liquida vedere non sul web ma sul territorio più di seimila circoli aperti al servizio di un confronto pubblico e di una decisione democratica – dice Parisi al Foglio – è un esempio, uno stimolo e una rassicurazione per tutti. Si faccia un giro sui tweet. Vedrà rilanciate da tutta Italia foto di assemblee di circolo: magari piccole e modeste, ma partecipate e sorridenti. Ci fu un tempo in cui si scoprì che la pace era la sicurezza che a scampanellare al mattino era il lattaio e non la polizia. Queste foto, come quelle di ogni elezione sono per me l’immagine della democrazia. Ha fatto bene Guido Crosetto a ripeterlo ‘per l’ennesima volta’: da destra, ha detto, ‘invidio il sistema democratico del Pd, dovrebbe essere obbligatorio per tutti i partiti’”.

 

Professore, Renzi è il nuovo padrone della ditta. Non corre il rischio di diventare però anche il nuovo Bersani, con il Pd inchiodato a una percentuale non sufficiente a vincere le Politiche? “Diciamo più banalmente il vincitore di questa partita. Ma anche lui dovrebbe avere ormai imparato che il campionato della politica non finisce mai. E spesso si conclude con la sconfitta più cocente. Basta pensare alle ultime partite, perse e perse male. Peraltro, anche prima delle prossime Politiche, le partite difficili non mancano. A cominciare dal voto del 30 aprile, e dalle imminenti amministrative. Pur senza dimenticare che quella di ieri (domenica, ndr) era una partita in casa, resta tuttavia, che dopo quattro mesi neri per Renzi come mai prima, la sua vittoria è indiscutibile. A darne la misura, più che la percentuale stanno i voti assoluti. Più di un terzo superiori a quelli raccolti nel 2013”. Renzi è sempre stato un valore aggiunto per il Pd. Ora non corre il rischio di una normalizzazione? “Più che da Renzi in sé il valore aggiunto era rappresentato dalla idea che il Pd mettesse al centro della propria proposta il governo e per questo richiedesse con una qualche plausibilità il consenso e la vittoria. Ripeto, direttamente il governo, non semplicemente una delega ad una imprecisata trattativa per governare. La normalizzazione sarebbe appunto arretrare su una logica proporzionale: ridursi a raccogliere il maggior numero di deleghe solo per assicurarsi la porzione di potere corrispondente alla loro quota. Ma a decidere questo più che il risultato finale delle elezioni saranno la legge elettorale che le regola. Vorrà, saprà e riuscirà il Pd a riprendere il cammino verso una democrazia maggioritaria e governante questa volta attraverso l’azione politica? Quel cammino che il 4 dicembre aveva immaginato di portare finalmente a conclusione per via istituzionale. Questo era il tema al centro del voto dei circoli, ma ancor di più del voto del 30 aprile”.

 

Basterebbe un partito normalizzato a battere i Cinque stelle? “Non credo. In una gara per il governo i Cinque stelle possono essere battuti perché non dispongono ancora di una proposta che appaia più forte. Non così in una gara proporzionale. Ho paura che a finire battuto sarebbe in questo caso il Pd, come dice lei, normalizzato, perché i 5 Stelle rappresentano già oggi la porzione più grande”. Bersani ormai parla del Pd solo in termini negativi. Ma non era sua la ‘Ditta’? Nonostante le sue rimostranze ho sempre pensato che la Ditta fosse restata per lui quella della sua giovinezza. Fu appunto per escludere la competizione di Bersani con Veltroni per le prime primarie, che la Ditta fu evocata come un nuovo nome di quella che, dopo la svolta della Bolognina, era stata troppo a lungo ‘la cosa’. La sua candidatura sarebbe stata causa di disorientamento. Disse. La Ditta non avrebbe capito. Se proprio ci fosse stato bisogno, l’altro ieri ce lo ha rispiegato D’Alema a Napoli in occasione della incoronazione di Speranza. ‘Abbiamo ri/trovato la nostra gente’. Ci siamo ritrovati. E’ un sentimento del quale va preso atto. Autentico anche se guidato da una illusione. Un sentimento che, a mio parere, va rispettato. Un sentimento del quale, ora che è venuto compiutamente allo scoperto, bisogna farsi carico. Un sentimento che tra quanti hanno militato nel Pci-Pds-Ds accomuna quelli che hanno rifiutato di riconoscere la profonda novità della stagione aperta dalla caduta del Muro di Berlino. Non ritengo giusto dire che quella che fu la minoranza del Pd lo ha sentito come suo partito solo finché è restato il partito ‘suo’. Ho invece idea che più che il partito non sia riuscita a fare suo il progetto. Più semplicemente non ha mai voluto riconoscere veramente il Pd come un partito nuovo. E’ anche per questo che a mio parere la loro più che una scissione è stata, come ha detto Giuseppe Vacca, una secessione”.

 

L’8 aprile, il M5s ha organizzato un convegno per “capire il futuro”. Briciole di democrazia? “No sulla democrazia sono un po’ indietro. Prime briciole di consapevolezza che, se continua così, potrebbero rischiare di vincere. Sì, rischiare. L’idea del ‘complotto’ per farli vincere, che la Taverna ipotizzò per il governo di Roma, si va trasferendo sul piano nazionale”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.