Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il patto della nazione

Claudio Cerasa

I circoli sono importanti (Emiliano who?) ma Renzi ha un problema da risolvere: come essere una novità senza essere più una novità. Perché, per evitare l’effetto caricatura, serve una rivoluzione genetica. Anche contro le fake news grilline

I numeri andranno verificati e confrontati con i dati che arriveranno dai gazebo il prossimo 30 aprile. Ma le percentuali di voto registrate nei circoli del Pd, in questa prima fase del congresso, ci dicono che gli elettori del più grande partito italiano hanno scelto di fare un nuovo investimento sulla figura di Matteo Renzi. Lo hanno fatto (68,22 per cento Renzi, 25,42 Orlando, 6,36 Emiliano) non per esprimere sfiducia nei confronti dell’unico avversario dell’ex premier, Andrea Orlando, ma per ribadire un concetto non secondario: un grande partito progressista di massa, in una fase in cui i beceri populismi minacciano la tenuta democratica di molti paesi, più che pensare a come non tradire il passato deve attrezzarsi a capire il presente e a costruire il futuro. E per fare questo, ha bisogno di essere guidato da un leader forte, con una sua identità definita, capace di esprimere un’alternativa possibile all’opzione sovranista, nazionalista, protezionista, anti europeista, anti mercatista, rappresentata dal vero antagonista dei partiti moderati e riformisti: il Movimento 5 stelle.

 

Il possibile plebiscito che Renzi riceverà alle primarie conferma che il popolo del Pd non considera l’ex premier un usurpatore-di-destra-che-si-è-illegittimamente-appropriato-di-un-partito-di-sinistra e indica che persino la ditta democratica ha capito che la trasformazione genetica della sinistra è una priorità, e non un’opzione, per chi ambisce a governare l’Italia e a cambiare il paese. E il fatto che la presenza di Emiliano (zeru tituli e persino un’incompatibilità a candidarsi come pm alla guida di un partito, denunciata ieri dal Csm) sia di fatto priva di significato e di voti all’interno del percorso congressuale, ci dice anche un’altra cosa: gli iscritti al Pd non si trastullano sul tema “coincidenza della figura di segretario e candidato premier”, ma vanno al sodo, credono che la persona che deve guidare il Partito democratico sia anche la persona giusta per rappresentare il partito alle successive elezioni e lo fanno anche perché sanno che nel pazzotico scenario neoproporzionalista ci sono mille interrogativi legati alla legge elettorale e alle possibili alleanze, ma c’è anche una certezza. E la certezza è questa: se il centrodestra non avrà un candidato forte, la prossima campagna elettorale si giocherà tutta sulla scelta tra il costruire, dopo le elezioni, una coalizione attorno al progetto di Renzi e il costruire, dopo le elezioni, una coalizione attorno al progetto di Grillo.

 

Il dato significativo raccolto da Renzi nasconde però un problema non ancora risolto dal prossimo probabile segretario del partito e quel problema è legato alla messa a fuoco di un concetto chiave: la novità. E’ inutile girarci attorno: fino a oggi Renzi ha costruito il suo progetto puntando quasi tutto sulla personalizzazione della politica, utilizzando quasi esclusivamente l’arma della carta d’identità per rottamare i volti e le idee del passato. Oggi il brand “Renzi” non è più una novità, per l’appunto, e la grande scommessa è trovare un modo per fare quello che oggi manca all’ex sindaco di Firenze: dimostrare cioè che le dimissioni da presidente del Consiglio non hanno coinciso con le dimissioni da Matteo Renzi; trovare una posizione che non sia la caricatura di quella precedente; costruire il progetto alternativo al grillismo-leghismo puntando non sulla forza di un’emozione (la carta d’identità) ma sulla forza di un’azione (una grande idea); farsi promotore in prima persona non della distruzione dei corpi intermedi ma della loro rigenerazione; e dimostrare insomma che può esistere un populismo buono che si contrappone a un populismo cattivo.

 

Per fare questo, e non finire nella spirale della normalizzazione, serve un’ideuzza per evitare che il più grande partito del centrosinistra perda tempo a rincorrere i grillini, i grillozzi e i salvinozzi sui vitalizi, le pensioni dei parlamentari, le auto blu, i costi della politica, i redditi di cittadinanza e per trasformare così un sogno, e non più un volto, nel simbolo di una svolta culturale che può avere successo solo se al progetto della rivoluzione riformista di una nuova generazione si sostituisce il progetto della rivoluzione riformista per una nuova generazione.

 

La formula magica non esiste, ma la grande svolta passa dalla giusta combinazione tra alcuni fattori evidenti. Le migliori condizioni di accesso per i giovani al lavoro. Una campagna devastante di sburocratizzazione dell’Italia. Un grande patto per privatizzare la televisione pubblica. Una lotta agli sprechi declinata non attraverso la guerra alle auto blu ma attraverso la guerra agli sprechi strutturali della Pubblica amministrazione. Un piano reale e non virtuale di riduzione della spesa attraverso il quale finanziare una riduzione choc delle tasse sulla persona e un abbattimento del debito pubblico. La trasformazione dei sindacati in alleati possibili non per difendere l’esistente ma per imporre nel tessuto sociale italiano una svolta in termini di produttività. E a proposito di rivoluzione per una nuova generazione andrebbe ascoltato chi suggerisce da tempo, a Renzi e non solo, di vendere tutte le aziende pubbliche anche locali (valore stimato 100 miliardi) e investire tutto il ricavato nella scuola (nuovi edifici, training dei docenti, criteri di selezione del personale) a condizione che i sindacati accettino di rinunciare al loro potere di veto e trasformare così i presidi nei manager dell’istruzione italiana.

 

Formule magiche non esistono, come dicevamo, ma la cornice entro la quale può maturare un patto per la nazione più che un partito della nazione è questa e la missione sarà possibile solo a condizione che il prossimo segretario si muova facendo leva più sul realismo che sul cinismo, più sull’europeismo che sul grillismo, senza rinunciare a fare quello che nessuno ha avuto il coraggio di fare fino in fondo: smontare una a una le fake news di cui si alimentano i grillini e i leghisti e porsi così come interprete naturale degli interessi rappresentati da una parte maggioritaria dell’Italia che vuole liberarsi dalla ghigliottina del cattivo populismo e che non si è ancora rassegnata a farsi ammanettare da Davide Casaleggio e dai suoi quattro amici al bar. Abbiamo detto “patto della nazione” al posto di “partito della nazione” perché la sfida del prossimo segretario del Pd è anche questa: non solo completare la rivoluzione genetica della sinistra italiana, ma costruire un progetto non incompatibile con la formazione di una grande coalizione all’indomani delle elezioni. Con la fine del progetto maggioritario, incarnato dal referendum costituzionale, la grande coalizione sarà inevitabile, specie se la legge elettorale sarà cambiata solo in una piccola parte, ovvero per omogeneizzare il sistema della Camera con quello del Senato. E per capire come è cambiato negli ultimi anni il centrosinistra italiano, basti pensare a un dettaglio: Renzi e Orlando sono divisi su molte cose, ma sono concordi nell’affermare l’impossibilità assoluta per un partito di centrosinistra a considerare il grillismo come una costola del riformismo. E un domani, se dovesse presentarsi per il Pd l’opzione se fare un governo con il partito delle scie chimiche o il partito del Cav., non sarà necessario consultarsi con Legambiente, Greenpeace, Wwf e Touring Club per capire da che parte stare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.