Tito Boeri (foto LaPresse)

Perché ora si rischia la “secessione” dei giovani dal welfare italiano

Piercamillo Falasca
La generazione nata nel 1980 rischia di andare in pensione a 75 anni”. Le parole molto forti usate dal presidente dell’Inps Tito Boeri, sulla base di una simulazione compiuta dall’istituto, hanno il merito di esplicitare un fatto spesso trascurato: la questione previdenziale è la più importante questione giovanile del nostro tempo.

La generazione nata nel 1980 rischia di andare in pensione a 75 anni”. Le parole molto forti usate dal presidente dell’Inps Tito Boeri, sulla base di una simulazione compiuta dall’istituto, hanno il merito di esplicitare un fatto spesso trascurato: la questione previdenziale è la più importante questione giovanile del nostro tempo. Smettere di rappresentarla come un tema “dei vecchi” o “per vecchi” è un passo in avanti, crea consapevolezza e impone scelte politiche dallo sguardo lungo. Più di ogni altra considerazione, l’arma principale per irrobustire le pensioni future ed evitare (o quanto meno contenere) l’effetto povertà sarà la capacità dell’economia nazionale di produrre reddito e distribuire ricchezza. Dovremo essere straordinariamente capaci di attrarre investimenti (sì, anche quelli dell’industria pesante, perché non si vive solo di cibo, turismo e start-up digitali) e di accogliere buoni immigrati con tanta voglia di lavorare.

 

Accanto a tutto ciò, comunque, c’è da ripensare radicalmente la “promessa pensionistica” che lo stato fa ai lavoratori, una promessa politica a cui rischia di non credere più nessuno. Tanti si chiedono: avremo mai una pensione? Aumentano le risposte negative, lo scetticismo e forse la consapevolezza che – in un sistema previdenziale a ripartizione – i contributi versati non sono un risparmio accumulato in un gruzzoletto di proprietà, ma vere e proprie tasse. In un sondaggio realizzato qualche anno fa da Comunità&Impresa su 600 laureati con meno di 35 anni, il 78 per cento degli intervistati si è dichiarato convinto che, pur versando regolarmente tutti i contributi, la pensione pubblica non sarà sufficiente a vivere serenamente la vecchiaia. Addirittura per il 75 per cento di quei laureati l’Inps non sarà nemmeno in grado di pagarle, le pensioni. Se dunque i contribuenti stessi temono seriamente il default del sistema previdenziale pubblico, crescerà la tentazione di una “secessione” dal sistema: l’emigrazione o un massiccio ricorso all’economia sommersa sono due ipotesi non irrealistiche. Ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, commentando le parole di Boeri: “Proporre in questo modo la previsione di pensione a 75 anni è irragionevole. Rischia di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani, molti potrebbero reagire rifiutandosi di pagare i contributi”. In realtà, l’economista presidente dell’Inps ha banalmente detto la verità ai lavoratori under 40, negargliela significherebbe chiudere gli occhi e tradirli due volte.

 

Come se ne può uscire? Per reintrodurre un grado accettabile di giustizia e solidarietà generazionale, occorrerebbe che le pensioni presenti non gravino troppo sui redditi che servono a costruire capitale per il futuro. Una proposta – formalizzata da anni in una proposta di legge da Giuliano Cazzola, certo perfettibile e migliorabile – può essere quella di lasciare che i lavoratori più giovani possano versare una quota dei propri contributi in un fondo pensione privato o in altre forme di risparmio. Liberare un pezzo della contribuzione obbligatoria dal monopolio Inps (una quota piccola all’inizio e crescente nel tempo) significherebbe intraprendere una transizione verso un modello parzialmente a capitalizzazione, in cui ognuno è realmente proprietario di un proprio gruzzoletto. I rendimenti che la previdenza privata può assicurare, peraltro, sono nel lungo periodo maggiori di quelli pubblici. La copertura delle minori entrate per l’Inps, ergo l’ammanco di risorse per finanziare le pensioni di oggi, è un problema enorme. Potrebbe essere assicurato solo da robusti tagli di spesa pubblica. Ma senza scelte politiche di autentico coraggio, i nati nel 1980 rischiano di essere testimoni del crollo del sistema previdenziale pubblico, ben prima di raggiungere quella famigerata soglia dei 75 anni.

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