Il presidente dell'Inps Tito Boeri (foto LaPresse)

Tutto quello che c'è da sapere per non abboccare alla retorica sulle pensioni

Redazione
Dopo le parole del presidente dell'Inps Boeri sulla pensione che si allontana e si assottiglia per i nati dopo gli anni Ottanta, occorre interrogarsi sul senso della previdenza pubblica. Le riforme necessarie e le rivoluzioni in corso in altri paesi industrializzati.

Chi è nato dopo il 1980 rischia di andare in pensione con i requisiti minimi non a 70 anni, ma "due, tre, forse anche cinque anni dopo". E' stato il presidente dell'Inps ieri a spiegare come la classe 1980 sia "una generazione indicativa" perché da quell'anno in poi per un lavoratore tipo è emerso che ci possa essere "una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni. Il vuoto contributivo pesa sul raggiungimento della pensione, che a seconda della sua lunghezza, può slittare anche fino a 75 anni".

 

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Perché Tito Boeri in realtà si sta muovendo politicamente per sostituire Renzi. L'analisi del direttore Claudio Cerasa

 

Ieri anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan incontrando deputati e senatori delle commissioni Bilancio ha aperto a possibili cambiamenti, "a forme di finanziamento complementare", dicendosi disponibile "a ragionare sia sugli strumenti che sugli incentivi e sui legami tra sistema pensionistico e mercato del lavoro", senza escludere "un possibile ruolo del sistema creditizio".

 

Susanna Camusso ha invece criticato il presidente dell'Inps. "Proporre in questo modo la previsione di pensione a 75 anni è irragionevole", ha detto oggi il segretario generale della Cgil. "Rischia di sembrare un annuncio e non una criticità da affrontare. Rischia inoltre di passare un messaggio pericoloso di sfiducia ai giovani con molti che reagiscono dicendo allora non pago più i contributi".

 

 

A proposito di pensioni. Ecco cosa c'è da sapere


 

Pensionare l'età pensionabile. Nel novembre del 2015 Marco Valerio Lo Prete aveva analizzato la situazione previdenziale italiana spiegando perché ci sarebbe stato bisogno di un dibattito sensato sulla possibilità del "retiring retirement", ossia l'apertura di una riforma delle pensioni che superasse l’età pensionabile obbligatoria. Una battaglia che andrebbe a risolvere in parte uno squilibrio macroscopico che ha portato la spesa pensionistica a quasi 250 miliardi di euro ovvero il 15,5 per cento del pil (mentre la media Ocse è 9,5).

 

Perché anche la previdenza ha i suoi "Panama papers". in Italia, le pensioni sono basse e quindi i pensionati sono poveri (a eccezione di alcuni “riccastri’’ da sottoporre alla gogna). Nei commenti al recente rapporto del Coordinamento attuariale dell’Inps (sulle pensioni vigenti nel 2016) la grancassa dei media ha battuto, di nuovo, sul fatto che una percentuale di poco inferiore al 64 per cento è costituita da assegni al di sotto di 750 euro mensili. Il dato è corretto, ma sarebbe bastato ribadire due caveat per non disorientare ulteriormente l’opinione pubblica. L'analisi di Giuliano Cazzola.

 

Perché i pensionati sono un'ossessione italiana. Marco Valerio Lo Prete e Alberto Brambilla analizzano i motivi che hanno portato il sistema di previdenza ad essere un grande tabù della nosta politica economica.

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