Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Dire “primarie” per non dire “Renzi”

Redazione
Le insidiose polemiche sulle primarie del centrosinistra possono far pensare che lo strumento di selezione dei candidati sia ormai obsoleto. Non è così. E’ la condizione preliminare, l’impegno alla lealtà dei candidati sconfitti nei confronti del vincente che è venuta meno.

Le insidiose polemiche sulle primarie del centrosinistra possono far pensare che lo strumento di selezione dei candidati sia ormai obsoleto. Non è così. E’ la condizione preliminare, l’impegno alla lealtà dei candidati sconfitti nei confronti del vincente che è venuta meno. E la contestazione sull’andamento delle consultazioni è solo lo strumento adottato per rifiutare con argomenti strumentali questa elementare regola di disciplina. In sostanza il successo dei candidati sponsorizzati da Renzi ha fatto capire ai suoi avversari che il premier vincerebbe a mani basse le primarie congressuali nazionali. Questo dato spinge i contestatori a cercare vie traverse per indebolirlo, compresa la scelta di sabotare le elezioni municipali di primavera. Quando Pier Luigi Bersani considera legittima la presentazione di una lista capeggiata da un esponente del Pd in concorrenza con la candidatura di Giachetti, sul quale invece non vuole esprimersi, rischia di partecipare a questo gioco al massacro, o almeno di non ostacolarlo. Si tratta di un problema tutto politico, di una crescente distanza tra i separati in casa che convivono nel Pd, e che deve essere affrontata in termini politici. Si attribuisce a Renzi l’intenzione di risolvere la questione imponendo alla minoranza la disciplina attraverso una decisione della direzione del partito, con la minaccia che “chi non ci sta è fuori”.

 

La minoranza del Pd punta a sabotare anche apertamente le scelte del segretario, ma senza pagare il prezzo di una scissione che la porterebbe a dover misurare nelle urne la propria irrilevanza. Sin dove possa spingersi per ottenere il primo obiettivo senza dover rinunciare al secondo è un tema di discussione anche all’interno della stessa minoranza. Per esempio Roberto Speranza, pur dopo aver svolto le sue considerazioni critiche sulle primarie, si dice impegnato a sostenere i candidati vincenti, mentre gli ex leader del partito, da Massimo D’Alema a Bersani non la pensano così. Isolare le posizioni più oltranziste, valorizzare la lealtà anche quando è venata di atteggiamenti polemici, insomma fare politica, con tutta la fatica e la pazienza che richiede, senza cercare scorciatoie che si potrebbero rivelare controproducenti può apparire fastidioso e defatigante, ma è in fondo il mestiere di un segretario che ha l’obbligo di fare il possibile per tenere insieme il partito. Sono gli oppositori che cercano di spingere Renzi a azioni e atteggiamenti sbrigativi per poi dargli dell’arrogante e presentarsi come vittime. E’ un vantaggio che non conviene lasciargli.

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