Arturo Parisi (foto LaPresse)

“Basta chiacchiere. Il Pd ha un problema di dirigenti, non di primarie”

David Allegranti
“Erano forse meglio gli oscuri caminetti dei capibastone, con i loro estenuanti bracci di ferro che decidevano a partire dai rapporti di forza misurati dai pacchetti di tessere?”. Intervista ad Arturo Parisi, gran teorico delle primarie.

Roma. Le primarie, dopo i casi di Roma e Napoli, sono sotto attacco. Il Foglio ha chiesto al professor Arturo Parisi, tra i maggiori sostenitori dello strumento, che cosa sta succedendo nel Partito democratico, fra accuse di partecipazione gonfiata e voti comprati. “Succede – dice Parisi al Foglio – quello che è successo tante volte. Quello che continuerà a succedere fino a quando non ci faremo una ragione del fatto che indietro non si torna. Esattamente come succederebbe e succede ancora nei paesi nei quali le elezioni non sono diventate un fatto accettato come irreversibile. Se vuol farsi un’idea ci facciamo un giro nei nuovi stati della vicina Africa. Succede che invece di rispondere alle sacrosante proteste sollevate contro fatti specifici intervenendo severamente contro i responsabili con rigore inappellabile, si solleva un polverone generico. Un polverone nel quale si confondono e si sommano quelli che dall’esterno hanno di mira il Pd e quelli che dall’interno mirano contro le primarie”. Quindi ha ancora senso farle? “Mi dicano prima con che cosa le sostituirebbero. Erano forse meglio gli oscuri caminetti dei capibastone, con i loro estenuanti bracci di ferro che decidevano a partire dai rapporti di forza misurati dai pacchetti di tessere?”.

 

“Ho detto tessere, non tesserati – specifica Parisi – Tessere pagate a blocchetti direttamente dai boss e da ognuno di essi intestate ai nomi fidati. L’episodio che a Napoli è accaduto alla luce del sole e che lo stesso Bassolino denuncia come una eccezione, era allora una regola, una commedia che si consumava nell’ombra della quale solo gli ingenui o i provocatori si azzardavano a menare pubblicamente scandalo. E tuttavia proprio per questo mi rifiuto di associarmi a De Luca che l’ha definita una quisquilia, una ‘babberia’. Se, una volta appurata la deviazione, non si interviene in modo immediato e inappellabile l’eccezione è destinata a essere raccontata come una regola che travolge le istituzioni che l’avrebbero prodotta o permessa”. Una regolamentazione efficace potrebbe impedirla? “Con nuove regole? Ma quali regole possono da sole impedire fatti come quelli di Napoli o far aumentare i votanti di Roma? Applichiamo intanto quelle esistenti. Si proponga l’espulsione o la rimozione immediata degli autori di questi ‘megaspot’ ai danni del partito. Non vedo nei fatti denunciati niente che sia capitato per assenza di regole nuove che possano impedirlo in futuro”.

 

[**Video_box_2**]Questa vicenda dimostra ancora una volta quanto sia fragile il Pd sul territorio. Il partito di Matteo Renzi pare essere molto forte a livello centrale, ma debole in periferia. Perché? “Perché al centro e solo al centro la leadership coincide con la premiership mentre in periferia la forza del partito dipende tutta da quell’unico sole che da Roma lo illumina e scalda. Di giorno. Perché anche in politica ci sono le notti. Senza parlare delle eclissi. Fuori di metafora questo è per dire che prima che sul modo col quale Renzi interpreta il suo ruolo, converrebbe tornare un momento a ragionare sul modello secondo il quale Veltroni immaginò di fare suo il partito che non aveva fondato”. Matteo Richetti, renziano della prima ora, è molto critico con il Pd. Dice che si è perso lo spirito delle prime edizioni della Leopolda. “Cosa pensi Richetti non lo so – commenta Arturo Parisi – Di questo chi ha seguito da presso l’avventura renziana fin dagli esordi sa certo più di me. Io posso solo ricordare che nella vicenda renziana alla stagione del noi seguì la stagione dell’io, alla stagione dell’appello alla solidarietà generazionale quella dell’assunzione di responsabilità personale, due stagioni divise dal crinale delle primarie del 2013 e del governo. Vedo ora anche io crescere in molti la nostalgia per la stagione del noi prodotta dalla delusione e dal disagio che nasce quando le solidarietà orizzontali sono chiamate a trasformarsi in discipline gerarchiche. Non sarò tuttavia io ad associarmi a questa nostalgia. Chi mi segue sa che nel breve passaggio che nel 2011 feci alla Leopolda, l’invito che da anziano rivolsi alla nuova generazione fu appunto quello di passare dall’indistinto noi all’io, a rompere il tabù che fino ad allora aveva segnato e segna ancora la sinistra, a contestare la maledetta regola secondo la quale sarebbe meglio sbagliare assieme che aver ragione da soli”. Finalmente, aggiunge Parisi, “anche in politica a vantaggio della cosa pubblica e non solo in economia a vantaggio della cosa privata. Il mio invito fu allora a ognuno perché nel suo campo di azione alzasse la ‘sua’ mano dicendo: io sono qua con le mie proposte per il paese, pronto ad assumermi personalmente le mie responsabilità, non più soltanto a ripartire collettivamente il rischio e a rivendicare da solo utili e risultati. Senza questa rivoluzione etica e culturale le primarie non avrebbero mai funzionato. Era in vista di questa nuova cultura che erano state pensate. Come non riconoscermi in Renzi quando alzò da solo la sua mano? Il guaio è che da allora quella mano sembra diventare ogni giorno più alta e più sola”. Il Pd ha quindi un problema di classe dirigente, professor Parisi? “Esattamente. Soprattutto se per classe dirigente intendiamo un Noi di Io responsabili in rete tra di loro. Non semplici gregari ma, per dirla con don Sturzo, persone a tutto tondo ‘libere e forti’. Mentre vedo crescere ogni giorno di più quelli che seguono Renzi non vedo crescere nella stessa misura quelli che seguono l’esempio di Renzi. Ecco perché pubblicamente salutai appunto il gesto di Richetti quando sull’esempio di Renzi alzò la sua mano senza chiedere il permesso. Ecco perché espressi il mio apprezzamento verso Bassolino quando con la sua scelta rese possibili le primarie napoletane. Ecco perché da democratico e autonomista diffido di tutti i candidati che per scendere in campo attendono investiture e appoggi che assicurino previamente la vittoria”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.