Gianni Cuperlo con l'ex ministro Massimo Bray (foto LaPresse)

Passeggiate romane

Renzi e due problemini con i ministri dei Beni culturali, presenti ed ex

Redazione
La minoranza del Pd dopo le primarie vuole davvero ripartire dall’ex ministro Massimo Bray? Una soluzione e del genere presupporrebbe il passo indietro di Stefano Fassina. Me le cose non stanno così. Ecco cosa sta accadendo.

Ma veramente a Roma, chiuso il capitolo primarie, la minoranza interna del Pd ripartirebbe dall’ex ministro per i Beni culturali Massimo Bray? I gazebo non erano ancora chiusi che già si parlava solo di questo argomento. E l’ipotesi prendeva tanto più corpo dopo che si è saputo che il predecessore di Dario Franceschini non è andato a votare alle primarie. “Lo ha fatto per potersi candidare e tenersi le mani libere”, era il ragionamento fatto dai più, politici di centrosinistra o giornalisti che fossero. Ovviamente una soluzione e del genere presupporrebbe il passo indietro di Stefano Fassina. Me le cose non stanno così. Primo, la minoranza interna del Partito democratico, eccezioni fatta per Massimo D’Alema, che sembra disposto persino allo strappo, non ha nessuna intenzione di rompere per una sfida come quella di Roma che non poterebbe da nessuna parte. E di certo alla vittoria, anzi rischierebbe di essere la dimostrazione del teorema Renzi, e cioè che la sinistra preferisce veder governare i grillini e financo il centrodestra pur di mettere in difficoltà il premier e di negargli un successo alle elezioni amministrative. Roberto Speranza, Nuco Stumpo, Gianni Cuperlo non escludono che a un certo punto la loro strada potrà allontanarsi da quella del Partito democratico, ma non sarà certo il voto romano a determinare un’eventuale rottura. Le immagini di Cuperlo a colloquio con Giuseppe Sala la dicono lunga sulle intenzioni della minoranza: nessuna fuga in avanti e nessun passo falso. Ma c’è una seconda ragione che rende impraticabile la strada della candidatura di Massimo Bray. O, meglio, la strada di una sua candidatura condivisa dal variegato mondo della sinistra. Stefano Fassina, infatti, non ha intenzione alcuna di farsi da parte. Anzi. Il candidato di Si a Roma lo ha detto e ripetuto in tutte le salse. Lui non farà nessun passo indietro, anche se sa bene che una parte di Sel non lo appoggerà. Dà per scontato il fatto che alcuni esponenti del movimento di Vendola a Roma hanno un ottimo rapporto con il Pd di Nicola Zingaretti, il quale, come è noto, ha stretto un patto d’azione con Matteo Renzi e per questo motivo è arrivato addirittura a una rottura con esponenti del partito ai quali era molto legato, come Goffredo Bettini e Walter Veltroni. Perciò Fassina resta in campo, anche se resterà orbo di un pezzo di Sel, e ciò significa che i piani di Massimo D’Alema, il vero sponsor della candidatura dell’ex ministro dei Beni culturali, si complicano.

 

A Roma e a Napoli i renziani si godono la vittoria, ma nei corridoi dei palazzi della politica si continua a parlare (c’è chi lo fa con preoccupazione e chi sperandoci) della possibilità che Renzi possa essere defenestrato dopo il referendum costituzionale del 22 ottobre. Che fare in quel caso? Sta prendendo piede l’ipotesi di scongiurare le elezioni. Come? Affidando la guida del governo a un esponente del Pd che si è alleato con il premier e che è stato determinante nella defenestrazione di Enrico Letta. Si sta parlando dell’attuale ministro dei Beni culturali Franceschini, che adesso ha con Renzi un rapporto altalenante. Nel senso che resta ancora un suo grande alleato (infatti i franceschiniani si sono schierati tutti per Giachetti a Roma), ma a chi lo conosce bene non nasconde che tra lui e il premier esiste una certa rivalità. Confermata dai continui riferimenti ironici a Franceschini che Renzi non perde mai occasione di fare nel corso dei suoi interventi pubblici durante le iniziative di partito.

 

Raccontano che Renzi non abbia smesso di prestare attenzione alla pratica Rai, anche se si affida al direttore generale Campo Dall’Orto e a Carlo Verdelli. La prossima tappa sarà lo scambio ai vertici dei telegiornali. Non avverrà subito perché prima Verdelli vuole capire bene quale nuova formula si possa sperimentare, dal momento che l’attuale non tira più. Si dice che alla fine la soluzione possa essere un tris di donne su cui ci sarà poco da polemizzare. Sara Varetto al Tg1, forte della sua esperienza a Sky, Lilli Gruber al Tg2 e Lucia Annunziata al Tg3, in modo che all’ex Telekabul nessuno possa dire che Renzi ha cercato di cancellare l’identità di sinistra. E’ vero che la Annunziata è già stata direttrice di quel tg, ma le seconde volte, come Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli insegnano, riescono bene e comunque la giornalista non nasconde di avere con Renzi un rapporto paritario e di consigliarlo spesso e volentieri.

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