Il sindaco di Roma Ignazio Marino (foto LaPresse)

Il conto che Marino deve pagare non sono gli scontrini

Mario Sechi

Caro Orfini, parlate di politica e sfiduciate il sindaco di Roma nel luogo giusto, all’Assemblea capitolina - di Mario Sechi

C’è vita nel Pd romano? O dobbiamo implorare la Nasa di progettare una missione con lancio e sbarco di un Dem Rover sulla Capitale? Se il sindaco-dimissionario-ma-forse-no Ignazio Marino dice “rifletto sulle dimissioni” lanciando l’ombra di un suo (ri)pensamento sull’addio alla carica, forse gli amici democratici dell’Urbe dovrebbero battere un colpo un po’ più forte di quello che ha dato Matteo Orfini: “La nostra linea non cambia, resta la stessa: non ci sono più i margini per andare avanti”. Ecco, caro Orfini, se non ci sono più margini, allora è bene chiarire come stanno le cose nel luogo giusto: il consiglio comunale. Lasciare al sulfureo Marino la vaga idea di poter circumnavigare il problema – la presenza della sua augusta persona in Campidoglio – rischia di diventare un errore fatale. Quando il gruppo di Sel si dice pronto ad affrontare una verifica con il sindaco, allora quello è il momento di convocare l’Assemblea Capitolina e chiudere questa tragicomica stagione una volta per tutte. Sfiduciate Marino. La ricostruzione del Pd a Roma parte anche da qui, da una decisione netta, pubblica, politica. Non è una questione di scontrini, Marino è unfit. Incapace di guidare la Capitale. 

 

Caro Orfini, vuoi tu davvero delegare alla magistratura il compito di togliere (o ri-mettere) la statuina di Marino nel presepe di Roma? Vuoi tu, onorevole Orfini, lasciare che questa storia sia catalogata alla voce trattoria, scontrini, ricevute, firme vere e false, rosso e bianco, bistecche e girarrosti? Vuoi tu, presidente Orfini, mettere fine a questa telenovela, sì o no? O preferisci ritrovarti con la sorpresona del sindaco che il 1° novembre sale in bicicletta al Campidoglio e urbi et orbi comunica al mondo: “Io resto”? Qualche giorno fa Goffredo Bettini ha raccontato sul Foglio la storia del battesimo del piccolo Ignazio, ha ammesso di averlo guidato dalla culla allo scranno dorato del Campidoglio, ha confessato di aver riposto grande fiducia in lui, definito con sprezzo del pericolo “l’Argan della politica”. Ma Bettini dopo aver bagnato la testa dell’infante ha lasciato che fossero altri a celebrare il rito liturgico successivo: il matrimonio. In chiesa ci andò tutto il Pd romano, festeggiò la vittoria su Alemanno, infilò la fede al dito del Marino ormai politico adulto. Ecco, quel Pd oggi fa fatica a scioglierlo, il matrimonio, è come quel marito deluso e tradito che pronuncia le parole “è finita”, ma continua a convivere con la moglie, paga i conti, lava i piatti, si becca gli insulti delle amiche, non va dall’avvocato, aspetta che sia lei a lasciare il tetto coniugale o che qualcuno (la magistratura) se la porti via quella signora, incautamente portata sull’altare.

 

[**Video_box_2**]Ecco, caro commissario Orfini, questo “domani è un altro giorno”, perfetto nel copione per Rossella O’ Hara, non è la sceneggiatura ideale per il Pd. Caro Orfini, il matrimonio è finito, staccate la musica, prima che gli invitati tornino a gozzovigliare e a fare ciuf! ciuf! in sala, perché come disse Jep Gambardella nella “Grande Bellezza”: “So’ belli i trenini delle feste, so’ belli perché non vanno da nessuna parte!”. Stop, fine corsa. Sfiduciate Marino.

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