Beppe Grillo e Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Cosa si nasconde dietro la retorica manichea del popolo dei Di Maios

Elisabetta Gualmini
Fedeli a se stessi e alle proprie utopie. Nessun pit stop per il popolo di Grillo nel circuito di Imola. Nessuna svolta epocale nell’annuncio di voler ricoprire ruoli di governo. Che d’altronde a livello locale hanno già. I grillini sono sempre quella cosa lì. Non si spostano di una virgola.

Fedeli a se stessi e alle proprie utopie. Nessun pit stop per il popolo di Grillo nel circuito di Imola. Nessuna svolta epocale nell’annuncio di voler ricoprire ruoli di governo. Che d’altronde a livello locale hanno già. I grillini sono sempre quella cosa lì. Non si spostano di una virgola. Certo, un po’ più maturi e un po’ meno naif di due-tre anni fa (e ci mancherebbe altro) e più riconoscibili (inevitabile se capisci che per rastrellare voti devi andare in tv), ma del tutto simili a quel partito populista e pigliatutto che ormai da più di due anni si colloca saldamente al centro della politica italiana, anche grazie al sostegno di partiti tradizionali sommersi da scandali e tangenti e di un ceto politico incistato nelle istituzioni da oltre trent’anni.

 

Ed è proprio questo il segreto del successo dei 5Stelle. Rimanere attaccati quanto più possibile al mito delle origini. Aggrapparsi con le unghie alle regole dell’ortodossia, senza sbavature. Duri e puri sempre e comunque, e messa al bando immediata degli eretici o di chi tentenna. Storci la bocca? Hai dei dubbi? Sei FUORI, un po’ come direbbe Briatore. A Imola va in scena il solito copione: la cittadinocrazia, i buoni e i cattivi, il leader e la base. Fa quasi tenerezza il tentativo di Di Maio, la star assoluta del post-congresso grillino, di scrollarsi di dosso i panni del leader, e di urlare alla platea che tra poco sarà sostituito da qualcuno di loro, uno qualsiasi. “Ognuno di voi avrà la possibilità e la sua occasione per cambiare le cose e per restare nella storia del paese. Il problema non sono le persone, il chi”. L’importante è darsi da fare ai banchetti, agli stand, ai gazebo. Tra la gente appunto. Senza la distanza asettica del web. L’elogio del banchetto è un ever green: segno e simbolo dell’incontro terreno tra eletti e attivisti, al di fuori del recinto chiuso e autoreferenziale della politica. “E sentire questi che al banchetto si parlano e si dicono, che iniziativa hai fatto? Dammi le tue mozioni che ti dò le mie… E’ bellissimo”, si infervora Beppe.

 

[**Video_box_2**]D’altro canto, loro sono i buoni e gli altri i cattivi, secondo la retorica manichea di stampo populista. “Noi gli onesti, voi i corrotti, noi ci finanziamo con il micro-credito voi con le coop, noi le piste ciclabili voi le auto…” (così il cittadino-Dell’Orco). E rincara la dose il cittadino-gufo Fantinati, secondo cui un turista su 10 non torna più in Italia “per i venditori non autorizzati e la malapolitica”. L’esercito candido di Grillo si schiera sicuro dalla parte dei giusti e rispolvera i cavalli di battaglia di sempre, dal consumo di suolo a saldo zero alla Costituzione, dalla biodiversità al reddito minimo, dai sacchetti compostabili al micro-credito. Interventi di una noiosità mortale e anche un po’ strampalati: “Prenderemo tutte le opere d’arte negli scantinati e le daremo in affitto...”, “Noi non siamo per l’eccellenza, ma per lo standard” (eh?), con un italiano da ragazzini di scuola media, senza nemmeno un pizzico di carisma, per carità. Forse lo Statuto lo vieta. E infine il leader. Pur sognando di levare nome e cognome dal simbolo del Movimento, Beppe è ancora il leader indiscusso, nel curioso connubio con l’improbabile Casaleggio. Molto più di un garante. Anche se qualche livello intermedio comincia a emergere e il cerchio magico a delinearsi. I monologhi di Grillo saranno pure diventati vecchi (se lo dice lui…) ma le regole vengono decise ancora dall’alto: chi si deve candidare e chi no, ad esempio.

 

Insomma, il M5Stelle dopo due anni di opposizione in Parlamento è ancora lì, a metà tra la protesta e la proposta, con le contraddizioni che caratterizzano i partiti anti-sistema ancora tutte da sciogliere. D’altronde, criticare il sistema standoci dentro è un’acrobazia che riesce a pochi. Perché la politica è negoziato, compromesso, mediazione e alleanze anche estemporanee pur di arrivare a risultati concreti. Nella sua corsa solitaria, sostenuta da un sistema politico ancora spappolato e con un grave deficit di fiducia, il M5Stelle per ora tiene e risulta appetibile a un popolo trasversalissimo di delusi dalla politica. Lui, il Movimento, è sempre al suo posto, in pole position. Sta anche agli altri partiti fare bene e fare velocemente per non farsi sorpassare.

 

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