Matteo Salvini tra Luca Zaia e Roberto Maroni (foto LaPresse)

Gli endorsement di Salvini sono meglio di lui

Salvatore Merlo
Paolo Del Debbio per Milano, adesso Roberto Maroni o Luca Zaia addirittura candidato premier della futura, e per adesso anche nebulosa, coalizione di centrodestra

Paolo Del Debbio per Milano, adesso Roberto Maroni o Luca Zaia addirittura candidato premier della futura, e per adesso anche nebulosa, coalizione di centrodestra. E i dinosauri dal cilindro di Matteo Salvini, gli uomini che lui indica, bon gré mal gré, con le loro giacche e le loro cravatte, l’aria di destra ma pure addomesticata dalle letture (Del Debbio) e dall’esperienza di governo (Maroni e Zaia), non appaiono soltanto più attrezzati di lui per affrontare, in caso, il concorso elettorale, cioè più adatti per indole, esperienze, crismi ed estetica ad assumersi eventualmente il compito di masticare il duro torrone dell’amministrazione e del governo, di rendersi cioè accettabili per gli alleati e anche per quel vecchio signore che si chiama Silvio Berlusconi. E insomma i candidati che Salvini sfodera forse soffrendo, occultando con ingegno modesto l’ambizione personale, non sono soltanto volti e biografie dall’apparenza più rassicurante per la cosiddetta maggioranza silenziosa che sempre sfugge agli urli e ai vaffanculo, alle ruspe e alle sparate pirotecniche, e sempre determina alla fine il successo o la sconfitta nelle urne, che non sono un talk-show in felpaccia, una gara di rutti o una rissa plebea, ma una millimetrica competizione per la conquista dell’ombelico: l’intangibile e mitologico centro politico.

 

I candidati di Salvini non sono soltanto tutte queste cose. E infatti, avendo proposto prima Del Debbio a Milano, e poi – a quanto pare – Zaia o Maroni per Palazzo Chigi, Salvini alla fine rivela soprattutto di conoscere se stesso, che non fa mai male, anzi, e sfodera pure una sua assestata e per qualcuno persino sorprendente intelligenza delle cose della politica. E’ come se dicesse: sono il portatore d’acqua, l’uomo immagine, l’agitatore talvolta scomposto eppure efficace del consenso. Sono, insomma, la grande novità populista della Lega, questo è il ruolo che il destino volle assegnarmi, e io lo interpreto bene. Ma so pure che per vincere non bastano flatulenze e acrobazie da circo. D’altra parte, la voce più autorevole in questa materia resta Schopenhauer, il lucido e appassionato Schopenhauer: “La novità non sempre è buona, e il buono resta novità per poco tempo”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.