Matteo Salvini (foto LaPresse)

A spasso con Salvini (e il suo salottino)

Salvatore Merlo
Per capire bene il capo della Lega bisogna seguirlo nei suoi giri romani. Dalla Rai a Montecitorio. E poi le parole, i silenzi di Bossi sulla leadership e le acrobazie degli alleati. Un giorno tra i corridoi a rincorrere Salvini

Roma. Nel cortile di Montecitorio Umberto Bossi scherza e tira cazzotti, è di buon umore, sta bene e accetta la compagnia dei giornalisti, ma quando qualcuno gli si avvicina e gli dice: “E’ il momento di Salvini, della Lega egemone su Forza Italia, del listone, chissà, forse anche del partito unico guidato dal giovane Matteo”, allora il vecchio capo finge di non sentire, lo sguardo gli si fa uno zig-zag volatile, quindi gira sui tacchi e se ne va, senza una parola. “La nuova legge elettorale prevede che il premio di maggioranza venga assegnato a una lista, chiaro? A una li-sta”, scandisce Laura Ravetto. E lo dice proprio bene, con l’aria di chi è piantata come un chiodo nella tinozza di Forza Italia, ma pure allude alle schermaglie e ai giochi di potere che si consumano all’ombra del trono periclitante di Silvio Berlusconi. “Non ci saranno alleanze o coalizioni. Ma liste uniche”, e la lista unica è quasi un partito unico. Ed ecco dunque il problema: sarà la Lega a ospitare Forza Italia o sarà Forza Italia a ospitare la Lega? E sarà Salvini a stabilire tempi, modi e grammatica, o sarà il Cavaliere, ancora una volta, inaffondabile malgrado il processo Ruby ter che gli guasta persino la voglia di farsi vedere in pubblico?

 

Nel palazzo di Montecitorio, in un tranquillo pomeriggio di solita agitazione parlamentare, gironzola anche lui, Salvini. E’ risoluto, come il passo della legione tebana. Trascorre le sue giornate romane tra una conferenza stampa, un’intervista alla radio, una alla televisione, alle agenzie, poi ai quotidiani, ai siti… Non dice mai di no, a nessuno. E’ così onnipresente da sembrare lui stesso un salottino ambulante. “La leadership della destra verrà da sé”, spiega fingendo che la cosa non lo riguardi. “Il leader verrà dalle piazze”, aggiunge col guizzo d’un rettile che assale il cibo. E tutti ancora si ricordano quel comizio di febbraio, a Piazza del Popolo, quando alle sue spalle, sulla magnifica terrazza del Pincio, la più bella di Roma, era appeso questo enorme striscione: “Berlusconi è politicamente defunto”. Ma sono passati parecchi mesi, e intanto Berlusconi è ancora lì, un ostacolo più grande e pesante di qualunque cosa a Salvini possa mai riservare il futuro. E il giovane segretario della Lega lo sa, per questo alterna sfrontatezze a cautele, gioca a nascondino con le sue borie e paure.

 

Oggi, per esempio, s’è fatto d’improvviso prudente. Nei corridoi parlotta con gli uomini del Cavaliere. C’è da siglare un accordo per Milano con Forza Italia, si cerca il candidato sindaco, disperatamente, e bisogna usare soltanto carezze di parole, perché è tutto complicato, sempre sul ciglio della rottura, sempre sottoposto al rischio di qualche agghiacciante equivoco. “Cerchiamo qualcuno che venga dalla società civile, anche se la società civile, per il momento, non vuole venire da noi”, mormora Mariastella Gelmini. “Salvini? – dice l’ex ministro – Salvini mi sembra tutto tranne che scemo, quindi non potrà che stare con noi a Milano. Altrimenti dove va, da solo?”. E così, quando gli si dice che Berlusconi ha ottant’anni, quando lo si provoca, Salvini non ci casca, non oggi, non è aria. Corregge subito: “Veramente ne ha settantanove di anni, prego”. E non sono tanti? “Ma lui se li porta bene”. E insomma più si insiste con malizia, più Salvini si ritrae come una lumaca in guscio, fin quando, proprio alla fine, qualcuno gli dice, con tono invitante, accogliente come una trappola: “Ma è la Lega il partito egemone della destra. E’ così evidente!”. E allora al giovane segretario scappa un sorriso di spavalderia: “Stiamo al 12 per cento. Berlusconi dice che parlo solo alla pancia del paese, ma se poco poco riesco a parlare anche alle teste e ai cuori io arrivo al 51 per cento”.

 

[**Video_box_2**]E per capire questa sicumera forse bisogna proprio seguirlo nei suoi giri romani. Quando entra in uno studio della Rai, per esempio, dai piani alti scendono pure i capistruttura, ed ecco residuati di ceto politico esploso, sconfitto, riciclato, ecco gli ex An, ecco i berlusconiani smarriti: tutti lo stringono, lo toccano, lo vogliono, affettano una confidenza che non hanno, allora lo abbracciano e in romanesco gli sussurrano richieste, offerte, richiami, imbonimenti. E c’è forse qualcosa di rivelatore in queste affettuosità Rai, un cosmo sempre corruttibile nell’anima ma non nello stile, sempre sensibile ai bacilli, anche ai più miti, del potere. Così la sintesi la fa Renato Brunetta, in piedi al centro del Transatlantico, la voce modulata su uno strano tono, come di volenterosa serenità: “E che problema c’è?”, si chiede. “Con la Lega governiamo le maggiori regioni d’Italia, e non mi sembrano governi strambi o lepenisti. La leadership la esprime chi ha più voti”. E se li ha Salvini? “Alle elezioni è Berlusconi che ha avuto più voti, finora”. Va bene, ma se li ha Salvini più voti? “E allora evviva Salvini”. Ecco fatto.

 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.