Massimo D'Alema con Matteo Renzi (foto LaPresse)

Perché ha senso che D'Alema dica in giro che il governo cadrà per mano giudiziaria

Claudio Cerasa
Alcuni ministri raccontano che Massimo D’Alema, da qualche tempo, sostiene che il governo non cadrà per uno sgambetto del Parlamento, per un giochino delle minoranze, per un complotto delle opposizioni ma cadrà per mano giudiziaria. Qualcosa che ricorda da vicino l’allarme che lo stesso D’Alema fece nel 2009.

Fino a qualche tempo fa era solo un pettegolezzo, una frase lasciata cadere lì alla fine delle cene, tra gli amici di una vita e i compagni di partito, e Massimo D’Alema, ex presidente del Consiglio, ex ministro degli Esteri e soprattutto ex capo del Copasir, lo diceva e non lo diceva, alludeva senza essere preciso, giocava con le parole per spiegare quello che sarebbe stato, secondo lui, il destino inevitabile del governo Renzi, il suo esito naturale, il suo drammatico percorso finale. Fino a qualche tempo fa era dunque così, solo una chiacchiera da bar, ma da qualche settimana a questa parte la chiacchiera da bar si è ingigantita, ha preso forma come un mostro, e ai ragionamenti a mente fredda si sono aggiunti altri passaggi. E il risultato è che dall’inizio di luglio la voce, un filo minacciosa, è arrivata anche nelle stanze di governo, nei ministeri che contano, ed è arrivata anche laddove, in teoria, passano i fili che contano nel rapporto tra i due soggetti messi a fuoco dal magnifico D’Alema: la magistratura e il governo Renzi. 

 

La storia è questa e vale la pena metterla in evidenza anche perché era un’impressione che tempo fa aveva avuto anche questo giornale. Alcuni ministri raccontano che Massimo D’Alema, da qualche tempo, sostiene che il governo non cadrà per uno sgambetto del Parlamento, per un giochino delle minoranze, per un complotto delle opposizioni ma cadrà per mano giudiziaria, e il ragionamento fatto in privato dall’ex presidente del Consiglio – che è arrivato anche al ministero di Grazia e Giustizia, terra di Andrea Orlando – ricorda da vicino l’allarme che lo stesso D’Alema fece nel 2009. Quando, dalle stesse terre pugliesi che oggi il governo Renzi ha sfidato mandando ceffoni a una procura piuttosto vivace come quella di Trani, il leader maximo disse, a proposito del governo Berlusconi, che presto “nel governo ci saranno scosse, ed è arrivato dunque il momento, per l’opposizione, di farsi trovare pronta e responsabile”. Nessuno sa naturalmente quale sia la scossa che potrebbe arrivare oggi – e anche chi ha avuto modo di parlare con l’ex ministro degli Esteri non sa se ci sia un terreno specifico sul quale il rapporto tra governo e magistratura potrebbe finire in cortocircuito. Quello che si sa però, con certezza, è che nel governo Renzi in molti danno per scontato che in futuro ci possa essere una “reazione” da parte di alcuni mondi della magistratura che si sentono in contrapposizione culturale con l’ideologia del governo renziano e che da un momento all’altro potrebbero replicare su scala più grande il modello già adottato qualche settimana fa con le chiacchierate tra Renzi e Adinolfi (telefonate cioè che non solo sono state inserite nei fascicoli giudiziari senza che vi fosse alcun rilievo penale ma che nel passaggio da una procura a un’altra sono state sbianchettate, e lo sbianchettamento ha fatto sparire, come si sa, gli omissis che erano stati piazzati proprio sopra i nomi Renzi e Adinolfi).

 

Dire che la sensazione, o forse qualcosa di più, di D’Alema sia fondata è naturalmente impossibile ma ciò che invece è considerato possibile e probabile dal mondo renziano è che le sfide lanciate in questi mesi da Renzi nei confronti di alcuni pezzi pregiati della magistratura non siano a costo zero (anche se poi spesso le sfide riguardano più i simboli che le riforme). A Palazzo Chigi, in questo senso, è forte il sospetto che tra le procure girino faldoni su faldoni con intercettazioni che, anche se prive di rilievo penale, potrebbero essere utilizzate da chicchessia in modo strumentale per indebolire il governo. La “scossa”, dunque, è possibile che non ci sia, che sia solo un presentimento e nulla di più, ma il governo Renzi sa bene che negli ultimi vent’anni, sia a livello nazionale sia a livello locale, sono stati molti, e continuano a essere molti, i governi costretti a fare i conti con una magistratura invadente, che confonde il codice penale con il codice morale. E dunque è necessario mettere nel conto che qualcosa potrebbe succedere, e che alla lunga, come capita regolarmente a chi anche solo a parole sfida il circo mediatico giudiziario, una “reazione”, magari da qualche piccola procura desiderosa di affermarsi a livello nazionale, ci potrebbe essere. 

 

[**Video_box_2**]E anche per questo chissà che Renzi una volta per tutte, in linea con il ragionamento fatto venerdì scorso contro la politica che ha il dovere di non essere passacarte delle procure, non decida di prendere, per regolare le intercettazioni, quel disegno di legge (il numero 1914) depositato in Senato il 22 maggio, presentato dai due vicecapogruppo al senato del Pd (Alessandro Maran e Giorgio Tonini), e che permetterebbe al governo Renzi di tirar fuori la stessa legge sulle intercettazione che nel 2007 provò a fare il governo Prodi, prima di cadere a causa di un’inchiesta vagamente invasiva arrivata da una piccola procura campana.

 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.