L'inerzia calamitosa di una scissione

Salvatore Merlo
Tutti gli errori di una sfida a perdere nel Pd. Parla Ezio Mauro - di Salvatore Merlo

“C’è l’inerzia delle cose, e le scissioni possono accadere, anche quando non sono volute. Ma una scissione del Pd sarebbe una sciagura per il paese, significherebbe perdere l’occasione che in Italia possano esistere un partito progressista e un partito conservatore moderni e occidentali”, dice Ezio Mauro. Eppure una scissione è già in corso, dice il direttore di Repubblica, ma è la scissione tra il popolo della sinistra e i dirigenti del partito. “Perché c’è più senso di responsabilità nell’opinione pubblica di sinistra di quanto non ce ne sia nel gruppo dirigente del Pd. C’è più senso di responsabilità in quel mondo che non ne può più di questi giochi d’interdizione e di corrente, di quanta non ce ne sia nel Palazzo. A proposito della sinistra, Bobbio diceva che ‘discutono del loro destino senza capire che dipende dalla loro natura. Risolvano il problema della loro natura, e avranno risolto il loro destino’. Ed è ancora così. Il gruppo dirigente deve riflettere sull’enorme giacimento di disponibilità democratica sul quale siede senza rendersene conto: c’è ancora gente che, malgrado tutto, esce di casa e va a votare alle primarie, magari dicendo che sarà l’ultima volta, ma lo fa, continua a farlo”. Il problema è: fino a quando?

 

La sinistra del Pd minaccia di non votare la riforma del Senato, che naufragherebbe. Chissà. Massimo D’Alema, ancora adesso, si accende d’entusiasmo all’idea di “riprendersi” il partito. “Questa è una logica di possesso che l’opinione pubblica di sinistra non capisce. Non ci interessa”, dice Mauro. “Comunica l’idea che ci sia qualcuno sempre pronto a perdere pur di tenersi la roba. Ma attenzione, perché la roba non c’è più. C’è un patrimonio di cultura, che non va disperso”. Renzi invece è bullesco, martellante, dice che andrà avanti, sta diritto come un birillo. “Renzi non si pone il problema di rappresentare tutta la sinistra, migliaia di elettori come me. E il peccato originale è tutto in questa mancanza di legittimazione reciproca. Renzi tratta gli uomini della minoranza come inquilini morosi, come dei rompiscatole. E loro trattano lui come fosse un marziano, come se si fosse avverata la profezia del Papa straniero, non lo trattano come uno che ha vinto legittimamente le primarie dopo averle anche perdute”. Ed ecco il tremendo spettacolo della piccola invidia rancorosa, dell’incomprensione. “Le coordinate culturali le hanno, le avrebbero: la sinistra democratica, socialista, riformista. Si riconoscono tutti in un perimetro europeo. Mi piacerebbe vedere un leader che si gloriasse anche un po’ della storia del suo partito, che ha fatto la storia del paese, un leader che si gloriasse di aver avuto Amato, Prodi, Enrico Letta. Ma sembra che la consapevolezza sia perduta”.

 

Giorgio Napolitano ha scritto una lettera al Corriere, giovedì. Sergio Mattarella perché non interviene in alcun modo? “Mattarella fa bene ad estenersi dai problemi interni al Pd. Ma anche se tace, lui è la manifestazione vivente di ciò che può funzionare nel partito della sinistra e in questa legislatura. Per eleggere Mattarella al Quirinale, Renzi, dopo aver parlato con Berlusconi, si è mosso dentro il suo partito, dentro il Pd. E insieme agli altri dirigenti ha individuato il profilo di un uomo, Mattarella, che non fosse un suo addetto occulto. Infine, dopo aver trovato un accordo nel suo partito, ha esteso la proposta alle altre forze politiche. Questo metodo ha dimostrato che il Pd può essere l’asse portante del sistema politico e istituzionale”. E allora che deve fare adesso Renzi? “Poteva rivolgersi a tutto il suo partito, dire con chiarezza: vogliamo intestarci insieme un anno di riforme? Se sì, troviamo l’intesa. Invece, arrivato al bivio, si è sentito attratto dalla prova muscolare. Ma il muscolo è fine a se stesso, poi non ci fai niente”. E la sinistra interna? “Lì dentro si muovono tutti come se fossero soli, ma ogni errore che fanno, ogni atto di egoismo, porta acqua alla destra di Salvini e alla politica tremendamente antisistema di Grillo. Verrà un momento, spero non sia già troppo tardi, quando capiranno che l’avversario non è il compagno che gli sta accanto”. Troppo tardi, cioè dopo una scissione. “La fine del Pd, la scissione, sarebbe come il gioco dell’Oca, peggio di un ritorno alla casella iniziale. Sarebbe come confessare: guardateci, non siamo stati capaci di diventare il player centrale del sistema”. Un fallimento.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.