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Rai, prove di "micro Nazareno"

Redazione
Le nomine televisive e alcuni "lasciapassare" parlamentari dell'opposizione sui voti in Aula non sono resurrezione del Patto, ma il segnale che Renzi e il Cav. hanno un interesse comune. Di legislatura

L’accordo sostanziale tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi sul consiglio di amministrazione della Rai, insieme a qualche vicenda parlamentare che ha visto le opposizioni consentire l’approvazione di decreti senza ostruzionismo e persino senza utilizzare le assenze nella maggioranza per chidere una verifica del numero legale segnalano un cambiamento ancora embrionale ma non privo di significato del clima politico. La minoranza del Partito democratico anche in questa occasione ha registrato l’ennesima sconfitta, particolarmente significativa perché si è realizzata su un terreno tradizionalmente favorevole al “partito Rai”, che è una componente non secondaria del fronte antirenziano interno. Non è una restaurazione del clima del Nazareno, ma una riapertura ufficiale di canali di comunicazione che si erano ostruiti con la scelta del presidente della Repubblica e paiono ora nuovamente funzionanti nella nomina della presidente della Rai.

 

Alla base di queste novità c’è il comune interesse, di Renzi e di Berlusconi, di far arrivare la legislatura al suo termine naturale senza nuovi ribaltoni e con un percorso che consenta di approvare finalmente la riforma costituzionale che abolisce il bicameralismo perfetto. Non è un obiettivo facile da raggiungere, perché quel percorso sarà ostacolato a ogni passaggio dalla minoranza interna del Pd che ogni giorno di più sembra di fatto collocata all’opposizione. Il suo disegno “vietnamita” è diametralmente all’opposto di quello su cui si basa il “micro Nazareno” di cui si tanno facendo le prime prove. Bersani promette una guerriglia parlamentare sulla riforma costituzionale, preparandosi a partecipare a un fronte del no quando essa, nel caso in cui riesca a concludere il lungo iter parlamentare, sarà sottoposta al giudizio referendario. Una sconfessione popolare della riforma, nel progetto bersaniano, costringerebbe Renzi a gettare la spugna e l’incertezza istituzionale che ne conseguirebbe aprirebbe la strada a un governicchio elettorale. Anche per evitare che questa manovra abbia successo, a Renzi converrebbe allargare la platea del consenso alla riforma, non verso la sinistra interna ed esterna al Pd, che comunque si schiererebbe contro di lui in una consultazione libera come quella referendaria, ma verso l’area moderata. D’altra parte anche sull’altro versante decisivo, quello delle scelte di politica economica, Renzi ha aderito, eppure con le sue priorità, alla prospettiva di una riduzione avvertibile del carico fiscale, cominciando proprio dall’abolizione, storicamente berlusconiana, dell’imposizione sulla prima casa. Anche qui lo scontro con l’impostazione della sinistra interna, che da sempre punta su più spesa pubblica alimentata da più tasse, è inevitabile. Dunque anche su questo terreno decisivo lo spazio del dialogo è destinato ad allargarsi.

 

[**Video_box_2**]Naturalmente si potrà procedere su questa strada solo in risposta a nuovi e prevedibilissimi atti di sabotaggio parlamentare da parte della sinistra democratica, che peraltro sembra interessata a spingere Renzi tra la braccia di Berlusconi per poi gridare all’inciucio. La gestione di un quadro politico in cui c’è una maggioranza formale, che comprende tutto il Pd, e una maggioranza occulta che si estende nelle occasioni decisive del processo riformista a forza Italia, non sarà semplice ed è esposta ogni giorno al rischio di incidenti parlamentari che potrebbero risultare decisivi.

 

Tuttavia le ragioni di fondo che militano a favore della maggioranza occulta favorevole alle riforme, alla quale si è appellato Giorgio Napolitano in un recente intervento, sono ragguardevoli, così come l’interesse vitale soprattutto dei moderati di guadagnare il tempo necessario per tentare di ricostruire una proposta elettorale competitiva.