(foto Ansa)

Piccola posta

Niente bombe su Odessa, città di sole donne in attesa degli uomini al fronte

Adriano Sofri

I giovani sono al fronte o rintanati per evitare di andarci. La manifestazione di donne, moglie e compagne per chiedere una rotazione per i soldati della prima ora

Odessa, 16 gennaio. C’è una singolare sproporzione fra l’attenzione e lo spazio riservati alla “stanchezza” degli alleati dell’Ucraina e la distrazione sulla stanchezza dell’Ucraina stessa. Che è naturalmente incomparabile. E’ anche difficile capirla, benché niente sia così splendidamente umano come la capacità di immaginare. Un mio amico, uno che del resto ha frequentato da volontario l’Ucraina, mi scrive: “Tu, che sei sotto le bombe”. Io non sono affatto “sotto le bombe” (spero di non essere ridicolmente smentito, la sirena suona, ma ormai si avvertirebbe qualcosa di insolito e di quasi allarmante se la sirena non si facesse sentire). Odessa, ogni tanto anche il suo centro – perfino la cattedrale ortodossa – più spesso il porto e i magazzini del grano, è presa di mira, ma di rado. Se si confidasse nella statistica, la probabilità di restare sotto un bombardamento oggi a Odessa non dev’essere superiore a quella di finire sotto un monopattino a Piacenza. Poco distante da qua, a Kherson, la probabilità di cavarsela se si esce a cielo aperto diventa molto bassa: cacciati sull’altra riva del Dnipro, i russi hanno deciso di rendere la vita impossibile agli ostinati che rimangono nella loro città, e dilapidano artiglieria e cecchini per fare il deserto. Non passa giorno o notte senza che il pallottoliere russo aggiorni il conto di ammazzati e feriti – “una donna molto anziana”, di preferenza. Kherson fa tenerezza e meraviglia: lunedì l’amministrazione cittadina comunicava che alle 9,38 era stata ripresa la circolazione dei filobus urbani. Kharkiv è un altro bersaglio privilegiato di questi tempi. E così via.
Nell’ovest i missili e i droni sono capaci di arrivare, ma meno spesso. In cambio, soprattutto nei paesi minori, dove la vita pubblica è esposta agli sguardi e alle conversazioni personali, i funerali di ragazzi, volontari i più, morti al fronte, e il paesaggio di fiori sul bianco dei cimiteri sono pressoché quotidiani.

Per tornare a Odessa, l’impressione più nuova è ora di trovarsi in una città delle donne, e delle ragazze: nelle strade, nei locali. Gli uomini, specialmente i giovani, sono al fronte, o rintanati per evitare di andarci. C’è l’elettricità, ma ha fatto freddo, fino a 11 gradi sotto, poco in confronto ad altre regioni, e Odessa è pur sempre una città mediterranea, ma molte case che accolgono i poveri o i rifugiati stentano a scaldarli. E non c’è persona che non sia in pensiero per sé o per un proprio caro, che stia combattendo o che aspetti di essere reclutato, o per le proprie figlie e nipoti riparati all’estero. Già un anno fa scrivevo della caccia ai reclutabili che a volte prendeva forme prepotenti e suscitava l’indignazione: non ha fatto che aumentare. Il mese scorso una manifestazione di donne, mogli e compagne, nella piazza di Kyiv rivendicava una rotazione per i combattenti volontari dalla prima ora, i superstiti: “Sono al fronte da due anni, è il loro turno”. Il Parlamento, compreso il partito del presidente, ha rimandato indietro l’altro giorno un progetto di legge sulla mobilitazione considerato troppo punitivo nei confronti dei renitenti. E Zelensky ha preventivamente fatto sapere che dell’estensione della mobilitazione alle donne non si parla proprio – “per ora”, pensa qualcuno. Paesi stranieri, dalla Germania all’Estonia, hanno dichiarato che non estraderanno gli ucraini rifugiati in età di reclutamento – dai 18 ai 60 – che alcuni membri del governo avevano caldeggiato. Ieri il Kyiv Independent – che deve difendere il suo ottimo giornalismo d’indagine dall’accusa di disfattismo… – riferiva di un singolare aumento dei divorzi combinati con l’affidamento dei bambini al padre, che così si procura l’esonero dal servizio e l’autorizzazione a espatriare: un tribunale locale si sarebbe distinto in queste pratiche e nel corrispondente tariffario. Tutto ciò non è che umano, troppo umano: lo si paragoni alla nostra famosa “stanchezza”. Quanto all’invio delle armi, “le armi non sono la soluzione”, ma la penuria delle armi lo è, la soluzione: finale. (Militarmente, una notizia almeno meritava un rilievo. Tre giorni fa l’aviazione ucraina ha distrutto un aereo-spia Beriev A-50 dopo il decollo dalla parte occupata della regione di Zaporizhia, e un Ilyushin Il-22. Il B A-50 era uno dei nove in dotazione ai russi, decisivi per la guida dei missili, la rivelazione dei sistemi di difesa e il coordinamento dei bersagli. Ognuno di questi apparecchi costa 330 milioni di dollari).

Io non sono sotto le bombe, dunque. E gli odessiti non hanno perduto il loro humour, né il peculiare tono ebraico dei miei cari Misha e Yura. I quali erano l’altroieri a una fermata del tram con un terzo amico, tutti e tre fra i 76 e i 74 anni, e una signora molto anziana ha chiesto: “Mi aiutereste a salire quando arriva il tram?”. Ma certo!, e Misha ha aggiunto con una certa galanteria: “Comunque siamo piuttosto vicini come età…”. Lei ha negato recisamente, e le hanno chiesto: “Vediamo, quanti anni ci dà?” “49, 51 e 52”. Misha: “Ma lei signora, non fa mica parte della Commissione di Reclutamento?”.

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