(Unsplash)

Piccola posta

Girando a vanvera per Odessa quando i russi si dimenticano di bombardare

Adriano Sofri

Nella città ucraina c'è anche il tempo per chiedersi che ne sarà del Napoli in serie A

Odessa. Se per un paio di giorni i russi si dimenticano di bombardare, ci si dice, fra i rarissimi stranieri presenti fuori stagione, che “non c’è niente da raccontare”, e si può andare in giro a vanvera per Odessa. La constatazione più incoraggiante, rispetto a un anno fa, è che per ora l’elettricità funziona, le case si riscaldano, i tram giallo-sole sferragliano uno dietro l’altro, più malconci ma più allegri, anche le facce delle guidatrici. Al grande mercato centrale di Privoz, celebre specialmente per la sua frutta e verdura (misterioso resta il destino della frutta invenduta) mi sembra che l’affluenza sia molto più ridotta del solito. Salta agli occhi la rarità di uomini in età militare: molti sono ai fronti, molti chiusi in casa per evitare di andarci. E’ un problema che non ha fatto che crescere, e sono frequenti un po’ dappertutto i block-post per acchiappare le reclute. Fra pochi giorni il parlamento di Kyiv discuterà del nuovo e controverso progetto di mobilitazione, che prevede un inasprimento delle sanzioni contro i renitenti.

(foto di Adriano Sofri)


Insieme al bisogno di rincalzi per il fronte è cresciuta anche la protesta di madri e mogli. E siccome è vero che succedono più cose fra cielo e terra di quante non ne comprenda la nostra filosofia, e a volte è vero anche che le famiglie infelici lo siano ciascuna a modo suo, sono venuto a conoscenza della storia di uno sfortunato uomo di mezza età, marito e padre, che era stato prelevato di forza dentro la sua casa per essere registrato e mobilitato. A distanza di qualche giorno, quando si disperava della sua sorte, era stato rimesso in libertà e rimandato a domicilio. Solo che qui era stato accolto dalla delusione rabbiosa di sua moglie: sperava di essersene liberata. Imbarazzo e pena dei parenti, sospetto terribile che lei non fosse estranea alla sua estrazione domestica, nodi che vengono imprevedibilmente al pettine, lacerante esplosione privata dentro l’esplosione dell’intera vita pubblica.

La novità maggiore, per chi non veniva da un po’, è la riapertura del Prymorskyi Boulevard, “la prima strada asfaltata dell’Impero russo”, e dall’Impero russo fedelmente bombardato nemmeno quattro mesi fa. E’ il viale, breve e vasto, dei palazzi con la vista alta sul mare, dal quale scende la scalinata, che è ancora inaccessibile ma solo per un muretto basso e un rotolo di filo spinato che non ostruisce lo sguardo. La statua del Duca Richelieu, invece, è imbacuccata dentro un catafalco piramidale ancora più funereo, forse per proteggerla, forse per addestrare a una sua assenza futura.

(foto di Adriano Sofri)

L’attivismo della “Commissione storica e toponimica” del Consiglio cittadino odessita è un’incognita pendente su monumenti e denominazioni. Pushkin, sapete, è il destinatario primo delle sue attenzioni – liquidata Caterina II e con lei i “Quattro fondatori” del piedistallo, compreso il napoletano-catalano José De Ribas, sdraiati a riposare in pace sul pavimento di un museo. Il gran busto di bronzo di Pushkin di fronte al palazzo neoclassico del Municipio, architetti e scultori italiani, sembra in salvo grazie alla protezione dell’Unesco. Della statua eretta nel 1999 davanti al Museo a lui dedicato, bersagliata dagli sfregi e coperta da un’impalcatura di emergenza, ho detto in passato. Là vicino, sotto il vecchio Hotel Renault in cui Pushkin abitò e giocò e festeggiò con ostriche e limone, all’angolo fra la Richelievskaya e la Deribasovskaya, nel 2013 lo scrittore Oleg Borushko e lo storico locale Oleg Gubar promossero l’installazione di una scultura da marciapiede, che riproduce l’ombra del poeta affacciato al balcone. Anche su questa elegante silhouette che sembra danzare sul selciato, cilindro e canna da passeggio, è calata la mannaia del Comitato.

Avrei voluto ricordare loro la Straordinaria storia di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso. Schlemihl è quello che vende al diavolo la sua ombra in cambio di una inesauribile borsa di monete. Uomo senz’ombra, il povero Peter non avrà più una propria vita riconoscibile. Concluso l’affare il diavolo, un tipo vestito di grigio, da bravo funzionario, “si mise in ginocchio davanti a me e potei vederlo staccare con meravigliosa perizia la mia ombra dal terreno, dalla testa fino ai piedi, sollevarla, arrotolarla, piegarla e, alla fine, riporsela in tasca. Poi si alzò, si inchinò ancora una volta, e sparì dietro ai cespugli di rose”. Se mi succedesse di assistere alla rimozione dell’ombra di Pushkin dal suo marciapiede, avrei pronte le parole per riferirne.

Fra gli amici che non ritrovo c’è il giovane commesso del supermercato che studiava da baritono, forse è partito militare. Una sera, stavano per chiudere, mi cantò alla cassa, tenendosi basso, il “Deh vieni alla finestra, o mio tesoro”. Fra gli amici ritrovati c’è Sergej, un cameriere, uno “che fa il cameriere”, ma anche il coltivatore diretto in un orto di città, ed è tifoso del Napoli. Sa tutto, e non si capacita che il Napoli abbia perso per 4 a zero in casa col Frosinone, un mese fa: il nome stesso di Frosinone gli sembra inattendibile. Vuole sapere se De Laurentiis ha un piano B per il seguito del campionato. Non sono in grado di dargli spiegazioni, ma lo informo che il famoso scacchista e scrittore ischitano Andrej Longo ha appena pubblicato per Sellerio un romanzo, “La forma dei sogni”, che è una vera epopea del Napoli della stagione scorsa, quella dello scudetto, e che ne raccomanderò una traduzione tempestiva in russo o in ucraino. Anche lo stimabile ministro degli esteri Kuleba ha appena detto alla Cnn che il governo ucraino continua a confidare nel sostegno degli alleati e non ha un piano B. E’ una coraggiosa manifestazione di risolutezza, ma ricorda rischiosamente la voga del “senza se e senza ma”: meglio averlo un piano B, e uno C, eccetera. Meglio non rimanere chiusi dentro un ascensore da un piano solo.

La mia amica Anna mi guida nel grande parco Preobrazhensky, all’ingresso c’è il trabiccolo per misurare la forza del cazzotto, evitato, a sinistra il poligono di tiro, più oltre lo zoo. Su un lato il monumento che ricorda che il suolo che calpestiamo era il più antico e più grande cimitero di Odessa, cancellato e ricoperto nel 1931, tempo di Stalin. Su un lato c’è un memoriale coi nomi dei sepolti più illustri. Uno, Giovanni Francesco Capello, a Odessa dal 1802, fu il primo primario dell’Ospedale cittadino costruito nel 1805. Nella peste del 1811-’13, che uccise più di un abitante su dieci, Capello volle incidere di persona anche i suoi colleghi infettati Rizenko e Kirchner, e ne morì tre giorni dopo. Nemmeno un mese prima era morto suo figlio. Lo cito, perché fuori dalla ricerca formidabile di Oleg Gubar e dall’elenco del monumento, il suo nome non compare da nessuna parte, Google compreso – per distinguerlo finalmente dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte.

La Biblioteca civica centrale Ivan Franko è un geniale edificio circolare, aperto tutti i giorni tranne il lunedì, ha una sezione importante per i bambini. E’ vicina a una stradina che si chiama così, Vicolo dei Libri. Accanto, c’è una fila di tipiche vecchie case a due piani, così scompaginate che un pezzo di facciata è diventato curvo, spanciato. C’è un uomo anziano e invalido, appoggiato alla sua stampella, dice che abita lì, che “Trukhanov”, il sindaco, “ha detto che possiamo abitarci”. Non è di buon umore. Stiamo per entrare nel cortile, Odessa vive di cortili, e lui sibila: “Ci sono 13 cani molto aggressivi”. Me lo faccio tradurre due volte per essere sicuro. Rinunciamo al cortile in omaggio alla sua creatività: cani aggressivi, e tredici! Dopotutto questa è la città della Dodicesima sedia.

Di più su questi argomenti: