il confronto

I discorsi di Capodanno di Putin e Zelensky

Micol Flammini

Il presidente russo torna davanti alle mura del Cremlino e fa finta che la guerra non esista, non cambia programma neppure dopo l'attacco a Belgorod, che commenta soltanto oggi. Zelensky invece ribalta due falsi miti russi, parlando di sopportazione e di Europa da Lisbona a Luhansk

Il discorso di capodanno di Vladimir Putin è stato trasmesso per undici volte, tante quanti sono i fusi orari della Russia. Quando il presidente russo ha iniziato a parlare nell’estremo oriente del paese, parte della Russia si stava ancora pensando agli attacchi ucraini contro la città occidentale di Belgorod, lanciati in risposta alle centocinquantotto bombe che venerdì mattina Mosca aveva scagliato contro tutto il territorio dell’Ucraina. Non è frequente che Kyiv risponda colpendo la Russia, una delle linee rosse dei suoi alleati impone che le armi occidentali non vengano usate contro Mosca, così l’esercito ucraino combatte con una mano dietro la schiena, ma ogni tanto colpisce di là dal confine per ricordare ai russi che la guerra che ha voluto il Cremlino può arrivare anche in Russia. Durante il suo discorso, Putin  ha lodato l’unità dei russi e dell’esercito, ma quest’anno si è presentato davanti alle mura del Cremlino, come da tradizione, che aveva invece rotto per la fine del 2022, quando aveva parlato alla nazione da una base militare non meglio specificata, tra soldati veri e presunti. Nel discorso di quest’anno, la guerra esiste appena, era stato preregistrato, probabilmente prima degli attacchi a Belgorod, ma il presidente russo non ha ritenuto necessario modificarlo neppure dopo le vittime e soltanto oggi ha promesso più missili contro l'Ucraina in risposta e ha commentato: "Naturalmente possiamo colpire le piazze pubbliche, Kyiv e qualsiasi altra città. Capisco. Anch'io sto bruciando di rabbia. Ma è necessario attaccare i civili? No, colpiamo obiettivi militari e continueremo a farlo", sa benissimo che le sue bombe colpiscono già Kyiv e i suoi centri abitati. Il messaggio, esplicito o sottinteso, è ormai un disco rotto: tutto prosegue, è tutto normale, la guerra è soltanto al di là dal confine. E Putin offre il volto sicuro e rassicurante del leader che si appresta a diventare presidente per la quinta volta nella sua vita, non digrigna più i denti parlando di “operazione militare speciale”,  come se la guerra fosse qualcosa di lontano.


 Il discorso di capodanno di Volodymyr Zelensky è stato trasmesso una sola volta, l’Ucraina è grande, ma unita da un solo fuso orario.  Nelle sue parole la guerra era ben presente è stato un discorso di elogio della resistenza ucraina, una lode dello spirito di sacrificio che ha permesso al popolo di non essere catturato dalle tenebre. Non ha mai nominato Putin, né la Russia, ma ha tolto al presidente russo uno degli argomenti usati finora come metro dell’eccezionalità russa: la capacità di resistenza, lo spirito di sacrificio come caratteristiche principali di una nazione che ha sopportato tutto. L’Ucraina ha sempre sopportato molto, le carestie, le occupazioni, la guerra, e Zelensky ha ricordato la forza, non la rassegnazione, la capacità di andare avanti con ogni mezzo, anche se pochi, reinventandosi e reagendo. Ha parlato della sofferenza, non come tendenza a soccombere, ma come tenacia viva, necessaria, a volte rabbiosa. Ha contato i successi, la capacità dell’esercito di non  cedere un centimetro di terra, e poi ha parlato l’inizio del cammino dentro a un’Unione europea che vede l’adesione dell’Ucraina come fondamentale per la costruzione di un’Europa forte. Ancora una volta, Zelensky mette sottosopra un mito russo, quello cullato spesso anche in occidente sull’esistenza di un’Europa che vada da Lisbona a Vladivostok, con Mosca come perno. E’ un’idea sostenuta da eurasiatisti come Alexander Dugin. Zelensky mette ordine, restringe i confini, per il 2024 auspica un’Europa “da Lisbona a Luhansk”, la città orientale dell’Ucraina adesso occupata dall’esercito di Mosca. 
 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.