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Piccola posta

Come alcuni uomini verso le “loro” donne, Putin dice di Odessa: mia o di nessuno

Adriano Sofri

La città punita dal Cremlino perché la sua bellezza non vada in mani altrui. Odessa è per eccellenza femmina, come quasi tutte le città, ma molto di più

I telegiornali, anche i più decenti, dicono “obiettivamente”: “Mosca nega che il bombardamento della cattedrale sia cosa sua: è opera della inetta antiaerea ucraina!”. Come se si trattasse di buon giornalismo, fornire le opposte versioni, e pareggiare. “Le forze armate russe non colpiscono mai le infrastrutture civili”, ha detto l’impunito Peskov. Ma nel centro di Odessa, il centro “italiano”, quello che ne fa il terzo più seducente per l’architettura e i monumenti, accanto al terzo della Moldavanka degli ebrei dei banditi e del mercato dei cavalli e delle pulci, e al terzo del mare, spiagge e scogliere. L’antiaerea ucraina sarebbe stata altro che inetta, se avesse colpito nella stessa notte cattedrale, palazzo Tolstoj e un’altra ventina di luoghi insigni del centro storico, compreso un consolato (greco) e due musei. E poi dicono, i telegiornali: “E’ la rappresaglia di Mosca per il ponte di Kerch colpito dagli ucraini”. E’ uno degli innumerevoli casi in cui “la rappresaglia” precede l’azione con cui se la vuole prendere, l’inversione della freccia, e dei droni, del tempo. La fine dell’accordo sul grano era annunciata da Mosca da tempo, benché comicamente smentita dal doppiogiochista di Istanbul. E dicono anche, i bravi telegiornali: “I russi prendono di mira il porto di Odessa, quello dal quale partono i trasporti di cereali...”. I russi prendono di mira il centro di Odessa. Ormai la guerra è durata così a lungo che tutto o quasi è stato detto, e bisogna rassegnarsi a ripetere. A ripetere quel concetto, soprattutto, che il sentimento di Putin e della sua banda per Odessa è quello dei veri uomini verso le “loro” donne perdute: “Mia, o di nessuno!”. Odessa punita, perché la sua bellezza non vada in mani altrui, e tanto meno se le mani siano quelle delle sue cittadine, dei suoi cittadini. Odessa è per eccellenza femmina, come quasi tutte le città, ma molto di più, da quando quella Caterina II decise – che sia vero o no – che si chiamasse pure da Odisseo, ma al femminile.

Domenica a Odessa era arrivata una delegazione del Parlamento italiano, guidata da Lia Quartapelle, Pd, con Giangiacomo Calovini, FdI, Andrea Crippa, Lega, Arnaldo Lomuti, 5 stelle, Ettore Rosato, Italia Viva: all’ultima tappa di una visita di quattro giorni all’Ucraina. Era il giorno giusto per trovarsi a Odessa: purtroppo, a chi vada in Ucraina capita spesso di trovarsi nel posto giusto. Quartapelle ha ricordato: “Prima il porto, ora anche il centro abitato che è patrimonio culturale dell’umanità”, e ha chiesto la sospensione dall’Unesco della Russia, che ne ha violato la Convenzione che impone la protezione anche in caso di guerra. Nel gennaio scorso, quando, dopo una lista d’attesa dal 2009, fu votata a Parigi l’iscrizione al patrimonio Unesco, raccontai una sciocca disputa lessicale (e futilmente nazionalista). Zelensky, patrocinando la richiesta, aveva parlato della “conservazione del centro storico” e ricordato i requisiti proverbiali: “una bellissima città, un importante porto del Mar Nero e un’importante fonte di cultura per milioni di persone in diversi paesi”. Il municipio cittadino, attaccando in una veemente lettera la posizione di esperti internazionali che a loro volta avevano parlato del centro storico ed evocato la fondazione di Caterina II, aveva rivendicato al “porto” il patrimonio da proteggere. “Grazie al porto, la città è diventata un fenomeno di diversità culturale e di dialogo interculturale”. E per rafforzare la pretesa, avevano scritto: “Dopo tutto, sono proprio il porto e le aree portuali della città a essere attualmente presi di mira dall’aggressore”. Be’, ora sul centro storico i russi hanno spedito in una breve notte 19 missili e un gran numero di droni.

Io sono di quelli che hanno sofferto a vedere – l’ho visto, infatti, momento per momento – smantellato dalle gru del municipio di Odessa il monumento a Caterina e ai Quattro fondatori della città, che era un pezzo di città, non un pezzo di zarismo. Mi dispiace ancora di più ora, quando è successo che l’armata russa abbia sfondato tetto e fianco della cattedrale ortodossa già ribattezzata dal suo Kirill. Ora che avrebbe potuto succedere che fossero i russi a mirare e demolire la loro zarina.

Quanto al porto di Odessa, bombardare i suoi giacimenti di grano è anche un modo di bombardare e affamare una buona parte del sud del mondo, e anche qui il fanfarone del Cremlino assicura di supplire, col suo raccolto d’eccezione. Nelle loro convenzioni internazionali, i Brics e gli affiliati farebbero bene a tenerne conto, e chiederne conto.

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