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Lettera a Emir Sader sulla visita di Mattarella in Cile

Adriano Sofri

L’omaggio del capo dello stato reso al monumento nel giardino dell’ambasciata italiana a Santiago, dove cinquant’anni fa i torturatori assassini della Dina buttarono il cadavere di una donna di 26 anni. Era Lumi Videla, dirigente del Mir, il movimento di sinistra rivoluzionaria

Caro Emir, carissimo Julio, chissà se da te, in Brasile, siano arrivati racconti della visita di Sergio Mattarella in Cile. Perfino in Italia se n’è trattato poco. In rete trovi il filmato dell’omaggio reso al monumento, un blocco ondulato di marmo, il risarcimento di un giaciglio, nel giardino dell’ambasciata italiana a Santiago, dove allora, cinquant’anni fa, i torturatori assassini della Dina buttarono il cadavere di una donna di 26 anni, madre di un bambino, e fecero pubblicare la notizia che era morta durante un’orgia fra i rifugiati in ambasciata. Era Lumi Videla, dirigente del Mir, il movimento di sinistra rivoluzionaria; con lei fu assassinato il suo compagno, Sergio Peres. Mattarella, e dopo di lui una silenziosa sfilata di personalità, fra loro tre ex presidenti del Cile uscito dalla dittatura, hanno depositato una rosa rossa. Anche Giovanni Grasso: Lauro De Bosis era un mirista.

Furono più di 250 i fuggiaschi ospitati in quel 1973 nell’ambasciata italiana. Emilio Barbarani, giovane diplomatico spedito dall’Argentina al Cile, ha pubblicato nel 2012 un libro, Chi ha ucciso Lumi Videla (Mursia). Mattarella ha ricordato che Aldo Moro, ministro degli esteri, benché l’Italia non avesse voluto riconoscere lo Stato golpista, telegrafò l’istruzione di accogliere i fuggiaschi anche se non fossero connazionali. Erano i giorni in cui tu e io e tantissimi altri raccoglievamo denaro, molto denaro, con la parola d’ordine: “Armi al Mir”. Sandro Pertini, presidente della Camera, commemorò Salvador Allende, lo paragonò a Giacomo Matteotti. “Nel suo discorso di insediamento, Allende aveva detto: ‘Vogliamo sostituire il regime capitalista. Sappiamo che ciò non è stato possibile fino a ora democraticamente. Ma adesso ci proveremo’… Chi muore per una causa giusta, vive sempre nel cuore di chi per questa causa si batte. Salvador Allende, morto, è più vivo che mai nel cuore del popolo lavoratore cileno. Nel suo nome i cileni antifascisti hanno già iniziato la loro lotta contro la dittatura. Sarà una lotta dura, difficile, ma dalla notte che oggi incombe sul Cile risorgerà, ne siamo certi, l’alba della libertà”. Certe albe sono lente a venire, Pertini lo sapeva. I dirigenti del Mir e i loro compagni argentini e uruguayani che vivevano allora nelle nostre case gli diventarono familiari. Ancora il 29 luglio del 1982, quando Pertini era al Quirinale, un registro annota la visita dei “signori Emir Sader – tu – e di Pascal Allende”. Miguel ed Edgardo Enriquez, e le altre e gli altri, erano già morti, battendosi o sequestrati e fatti scomparire.

Ora, cinquant’anni dopo, un presidente italiano è entrato alla Moneda, e ha incontrato un presidente cileno, Gabriel Boric, con un’aria da ragazzo e un congresso che gli taglia la strada. Ma è lì. All’Università Mattarella ha detto: “L’Europa, che è largamente debitrice nei confronti dell’America latina per il suo sviluppo, non ha sempre saputo guardare a questo continente con sufficiente ampiezza di vedute e lungimiranza”. Per restare all’essenziale, Mattarella ha anche citato Carlos Gardel, all’ambasciata: “Que veinte años no es nada”…

Vent’anni – niente. Nemmeno ottanta. Uno dei tuoi ultimi libri è dedicato “a Ivan, Tales, Silvio, Júlio Gomes, Sérgio Andrade. Seudónimos míos, en distintos momentos y en distintos lugares, todos partes de mi mismo”. Tutti tuoi pseudonimi, di tempi e luoghi diversi. Dal Libano al Cile, all’Argentina, alla Francia, al Brasile, e in mezzo molta Italia. Io ti ho guardato, anche quando ho dovuto farlo più da lontano, e forse ancora di più, come ci si guarda in uno specchio che migliora, per misurare quello che ci separava e chiedermi quanto dipendesse dalla geografia, oltre che dalle altre cose della vita. Si hanno pensieri diversi se si nasce in Congo o in Ucraina, in Venezuela o a Toronto. Poi, naturalmente, si prova a viaggiare. Oggi hai 80 anni, e sei lì col tuo amico Lula, senza aver paura di essere felici. Volver. Un giorno o l’altro torniamo in Cile anche noi due, insieme. Pisaremos las calles nuevamente, de lo que fue  Santiago ensangrentada, y en una hermosa plaza liberada, nos detendremos a llorrar por los ausentes. Abbiamo tempo.

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