Maya Allende e Gabriel Boric (LaPresse) 

piccola posta

La nipote di Allende a capo dei soldati nel Cile democratico

Adriano Sofri

Dalle bombe sulla Moneda al ministero della Difesa. La storia di Maya, che ora passa in rassegna le truppe e poi va a rendere omaggio a suo nonno. Julio Gomes racconta

Vorrei oggi cedere lo spazio all’articolo di un mio vecchio e caro amico e compagno, Julio Gomes, perché la storia che racconta, di Maya e di suo nonno, mi sembra bellissima. 

“Circondato nel Palacio de la Moneda, Salvador Allende ricevette un ultimatum dai militari golpisti: se avesse lasciato il palazzo, lo avrebbero portato fuori dal paese in elicottero. Allende aveva giurato pubblicamente che avrebbe lasciato la Moneda solo morto, o alla fine del suo mandato. Non avrebbe mai accettato quell’ultimatum. Conosceva esempi di ex presidenti latinoamericani vittime di golpe militari, che avevano finito la vita all’estero (il brasiliano João Goulart, per esempio).

Vivevo allora a due isolati dalla Moneda, mi imbattevo spesso in Allende nelle vie del centro di Santiago. Questa volta mi svegliarono di nuovo, come nel primo tentativo di golpe del luglio 1973, con il rombo degli aerei. Arrivato in Plaza de la Constitución, ho potuto vedere Allende nella piccola finestra del Palazzo circondato, da dove teneva i suoi discorsi. Allende imbracciava il fucile AK che gli aveva regalato Fidel, in testa il casco che gli avevano regalato i minatori.

Respinse l’ultimatum, fece partire donne e bambini. Tra loro c’era Beatriz Allende, detta Tati, grande interlocutrice del presidente tra le sue figlie, era incinta. Allende continuò a resistere fino a quando i caccia di fabbricazione britannica bombardarono il palazzo. Il fumo dei bombardamenti era l’immagine della dolorosa fine della democrazia in Cile.

Beatriz andò all’Avana con i suoi due figli. Fu lì che, passando per Cuba in missione per la resistenza cilena, feci amicizia con Tati, e conobbi la sua piccola Maya, che aveva sette anni. Tati, il pensiero fisso alla morte del padre, si sentiva in colpa per aver lasciato il Palazzo. Finì per suicidarsi nel quarto anniversario del giorno della sua morte, con un colpo simile a quello con cui suo padre si era tolto la vita.

Passeggiavo con Maya, soprattutto sulla spiaggia più vicina ad Alamar, il quartiere in cui viveva, come la maggior parte delle colonie latinoamericane: cilene, uruguaiane, argentine, brasiliane. Ricordo una di quelle passeggiate lungo la spiaggia di Santa María del Mar: giocavo con Maya in mare, lei si aggrappò a una catenina d’argento che portavo e mi cadde, e non riuscii a recuperarla. Era una catenina che mi aveva regalato María Regina, la mia compagna, rimasta a Buenos Aires mentre io ero in viaggio per svolgere i miei compiti a Cuba. Non ho mai più rivisto María Regina, perché è stata rapita dalla dittatura argentina ed è scomparsa per sempre insieme a Edgardo Enríquez, leader del Mir cileno.

Ho lasciato Cuba e ho interrotto i contatti con Maya. Sono tornato in Cile un paio di volte, l’ultima nel 2019, quando ho incontrato Gabriel Boric e alcuni suoi compagni, che ora governano il Cile democratico. Però non riuscii a incontrare Maya. Ho comunicato con lei su Whatsapp. Ora, con grande gioia, la vedo, nominata ministro della Difesa del governo cileno, passare in rassegna le truppe e poi andare a rendere omaggio a suo nonno, Salvador Allende, detto anche Chicho, prima di entrare per la prima volta nel ministero.

La prossima volta che tornerò in Cile la cercherò al ministero della Difesa. Almeno per ricordare di persona questi trascorsi e dare un abbraccio alla cara Maya, figlia di Tati e ministro della Difesa del governo democratico del Cile”.