José Antonio Kast (Lapresse)

Il voto

La vittoria della destra in Cile, dove è eterno trionfo dell'opposizione

Maurizio Stefanini

Alle elezioni per il Consiglio costituzionale il Partito repubblicano di José Antonio Kast conquista 22 seggi su 50. Ora dovrà preparare la nuova Carta dopo il tentativo fallito di Gabriel Boric

In Cile trionfa la destra alle elezioni per il Consiglio costituzionale che dovrà preparare la nuova Costituzione sulla base di una bozza predisposta da una Commissione di 24 esperti eletti da Camera e Senato. La Commissione ha stabilito 12 “basi costituzionali”: una sorta di paletti non derogabili, come quello che consacra il Cile come economia di mercato con partecipazione statale e privata. Un Comitato tecnico di 14 membri avrà dunque il potere di cassare qualunque proposta presentata dai 50 eletti del Consiglio che venga giudicata non conforme a questi limiti. Dopo cinque mesi di lavoro, ne uscirà un documento che sarà a sua volta sottoposto a un nuovo referendum, il 17 dicembre. Se passa, il Cile potrà dunque avere una carta fondamentale con investitura democratica ben diversa da quella lasciata in eredità da Pinochet, anch’essa approvata con referendum, l’11 settembre 1980. Ma con una campagna referendaria e condizioni di voto che in pieno regime militare suscitarono e suscitano ancora perplessità.

 

Accettato dai governi della transizione democratica, il testo era stato abbondantemente emendato, ma per la protesta del 2019 era stato un obiettivo primario cambiarlo, e anche sulla base di quella mobilitazione Gabriel Boric è arrivato alla presidenza. Ma a queste elezioni il 35,40 per cento dei voti e 22 seggi su 50 sono andati al Partito repubblicano di José Antonio Kast, che fu sconfitto da Boric al ballottaggio. Considerato una versione cilena di Trump o Bolsonaro, Kast ha all’estero una immagine negativa amplificata dall’essere figlio di un ufficiale della Wehrmacht durante la Seconda guerra mondiale. La lista di Boric, Unidad para Chile, ha preso solo il 28,45 per cento, con 17 eletti, di cui sei socialisti e due comunisti. Erano loro che si riconoscevano nel progetto costituzionale bocciato l’anno scorso. Un altro 21,7 per cento è andato a Chile seguro, dove sta la coalizione del centro-destra storico del precedente presidente Sebastián Piñera: 11 eletti di cui 6 della più ideologica Unione democratica indipendente, 4 per i conservatori pragmatici di Renovación nacional e uno per i liberali di Evolución politica. Loro erano disposti a fare cambiamenti, ma ora saranno tirati a destra dal partito di Kast, con cui hanno una maggioranza qualificata di 33 su 50. Con appena il 9,95, nessun eletto ha avuto Todo por Chile: la coalizione tra democristiani, il Partito per la Democrazia (Ppd) del ministro dell’Interno Carolina Tohá e i radicali.

 

Paradossalmente, la maggioranza eletta potrebbe addirittura imporre una Costituzione più a destra di quella esistente, costringendo Boric e la sinistra a difendere la Carta di Pinochet come male minore. Boric ha già chiesto il dialogo, chiamando il Partito repubblicano a “agire con saggezza e temperanza”, e invitandolo a “non commettere gli stessi errori” della sinistra durante il primo processo costituzionale bocciato lo scorso settembre con il 62 per cento di no. “Il processo precedente, dobbiamo dirlo, è fallito perché non sapevamo ascoltarci tra chi la pensava diversamente. Voglio invitare ora il Partito repubblicano a non commettere lo stesso errore che abbiamo fatto noi”, ha detto in tv. Sembra arrestarsi un preteso “ciclo a sinistra” delle elezioni latino-americane, non fosse che in realtà la regione sta mostrando piuttosto un ciclo per cui vince chiunque stia all’opposizione.

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