Foto di Martin Mejia, via LaPresse 

racconto di un continente

Golpe, autogolpe e referendum. L'involuzione politica in Sudamerica

Maurizio Stefanini

La tendenza non solo dell'America latina, ma anche dell'America tout court a perdere chi sta al governo. In Perù, Castillo è in galera ed è stato sostituito. Il Cile di Boric ha bocciato la nuova costituzione. E per Lula, neoeletto in Brasile, si prevedono problemi simili

Dopo 16 mesi turbolenti in cui era stato già sottoposto a due tentativi di impeachment ed era stato costretto a cambiare 5 primi ministri e 80 ministri, Pedro Castillo è stato infine destituito ed è pure finito in galera, dopo aver tentato di sciogliere il Congresso. Non solo la vicepresidente Dina Boularte, che gli è succeduta, è il sesto presidente in quattro anni, ma dal 1986, tutti i presidenti che il popolo peruviano ha eletto sono finiti in carcere: salvo Alan García, che si è suicidato. Il Perù ha dunque vertici di instabilità notevoli anche per il contesto latinoamericano. Eppure, ricorda la Banca mondiale, “dopo un rimbalzo post pandemia del 13,3 per cento nel 2021, il pil è aumentato del 3,5 per cento su base annua nella prima metà del 2022, trainato da manifattura, costruzioni e servizi”. Ma anche questa economia, che funziona in un contesto di politica che invece non funziona, è una particolarità peruviana. 

 

Subito prima del caso Castillo, però, era arrivata dall’Argentina la notizia che la vicepresidente Cristina Kirchner era stata condannata a sei anni di reclusione, per appalti da un miliardo di dollari dati a un uomo d’affari. Non andrà in carcere fino a quando la sentenza non sarà definitiva, ma è un colpo alla candidata più popolare per una coalizione governativa di sinistra molto indietro nei sondaggi. 
Sono le solo notizie latinoamericane che hanno fatto irruzione nei notiziari italiani in un momento in cui Ucraina e Iran occupano l’attenzione, ma in tutta la regione è un momento teso. In Uruguay, il presidente di centrodestra Luis Lacalle Pou ha mandato a sorpresa il ministro degli Esteri in Nuova Zelanda a firmare una adesione all’Accordo Transapacifico in flagrante violazione del Mercosur, come denunciato da un clamoroso tweet congiunto dal “destro” Bolsonaro assieme al presidente di sinistra argentino Alberto Fernández e  al “destro” paraguayano Mario Benítez. In Bolivia è in corso una faida all’interno del partito di governo tra il settore del presidente Luis Arce e quello del leader storico ed ex presidente Evo Morales. Contro tutti e due il Dipartimento di Santa Cruz, roccaforte dell’opposizione, ha condotto un lungo sciopero. 

 

In Brasile si aspetta il passaggio di consegne di Capodanno tra Bolsonaro e Lula in un clima non tranquillo. In Venezuela una ripresa del negoziato tra governo e opposizione ha portato a un accordo umanitario per far gestire all’Onu fondi contesi tra Maduro e Guaidó, e Chevron è stata anche autorizzata a riprendere le operazioni, ma Maduro minaccia di non fare le prossime elezioni se gli Stati Uniti non tolgono le sanzioni. Pure peggio in Nicaragua, dove Daniel Ortega ha messo fuori legge 3000 ong in un anno, e i prigionieri politici sono 219.  

 

Involuzione autoritaria anche nell’El Salvador, dove il crollo del bitcoin ha bruciato 65 dei 105 milioni di dollari che Nayib Bukele vi aveva investito. Per mantenere popolarità il presidente ha allora lanciato una offensiva contro le “maras” di delinquenti che ha portato 50.000 persone in galera e ha fatto 2.000 desaparecidos. Ma contro le maras anche Xiomara Castro in Honduras ha ora dichiarato lo stato di eccezione, mentre in Ecuador e Perù è in corso una sanguinosissima guerra tra i narcos locali e venezuelani. Narcos scatenati anche in Messico, dove ci sono stati 2.766 omicidi a ottobre, 26.119 nei primi 10 mesi dell’anno e 112.150 nei primi sei anni di presidenza di Andrés Manuel López Obrador, a sua volta tacciato di tentazioni autoritarie.

 

Per ora, tentazioni di cui non possono essere sospettati il cileno Gabriel Boric e il colombiano Gustavo Petro, di sinistra come Castillo. Però il Cile a ottobre è entrato in recessione, Boric ha perso il referendum costituzionale, la violenza terrorista degli estremisti mapuche appare sempre più incontrollabile, e gli ultimi sondaggi gli danno un 65 per cento di disapprovazione contro solo un 29 di approvazione. Petro ha invece un 61 per cento di approvazione, e la Colombia crescerà nel 2022 dell’8,1, ma dall’inizio dell’anno il numero dei leader sociali assassinati ha raggiunto la cifra record di 199.
Petro è comunque ancora in luna di miele con gli elettori, come Lacalle Pou. Ma sono eccezioni, in un contesto regionale dove la regola è non tanto l’”ondata a sinistra” intravista da osservatori frettolosi, ma una tendenza generale a perdere di chi sta al governo. E Castillo si è anche trovato a fare da presidente senza maggioranza al Congresso, che è pure ormai una costante comune non solo a tutta l’America latina ma a tutta l’America tout court. Anche Biden ha il problema, e lo avrà Lula. Proprio questo stallo porta sia i Congressi a tentare di rimuovere i presidenti, sia i presidenti a provare a blindarsi in chiave autoritaria.