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Piccola posta

Si impara più dai romanzi che dai libri di storia o di geopolitica

Adriano Sofri

Il colonialismo italiano in Somalia non è mai finito. Leggere "Cassandra a Mogadiscio" di Igiaba Scego

Leggo “Cassandra a Mogadiscio”, sono a metà, questa non è una recensione. Imparo molte cose. Pensavo a Igiaba Scego come a una figlia, la figlia di un padre, e ora la vedo come la figlia di una madre e la zia di una giovane donna. Si impara dai romanzi più che dai libri di storia o, il cielo scampi, di geopolitica. Però, cercando alla rinfusa, ho ritrovato un vecchio articolo di Pietro Petrucci per Micromega, del 1993, intitolato “Somalia. La nostra vergogna”. La bancarotta degli Aiuti italiani, che coinvolse via via tutti i partiti e soprattutto il Psi di Bettino Craxi, e la sua disastrosa dimestichezza con Siad Barre. Quella Somalia di dilapidazioni, delle stragi immani e degli assassinii singolari, fino a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, quella che si guadagnò un capitolo nella stessa sentenza sull’omicidio mafioso di Mauro Rostagno, 1988. Quella di cui leggo in un’intervista a Scego di dieci anni fa: “Penso sinceramente che se siamo il paese più inguaiato nel mondo è per colpa degli italiani, e gli italiani non lo sanno neppure. Il colonialismo italiano in Somalia non è mai finito perché dopo il colonialismo e il periodo dell’Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia, ci sono state l’influenza italiana della DC, il supporto del partito comunista a Siad Barre, e quello dei socialisti di Craxi, e infine l’operazione Restore Hope. Secondo me tutti dovrebbero prostrarsi davanti ai somali e chiedere scusa, ma non lo farà nessuno”.

Ma anche il dettaglio per cui ne scrivo oggi viene da quella intervista del 2013. “Tutti i miei libri tranne Oltre Babilonia hanno la mia faccia in copertina, seguendo un trend che contraddistingue quasi tutte le opere che parlano di migrazioni. Per “La mia casa è dove sono”, sono riuscita ad ottenere il titolo che volevo perché Rizzoli voleva intitolarlo ‘Da vicino nessuno è straniero’. Sulla scelta della copertina sono stati loro però ad avere la meglio... Anche nell’edizione scolastica c’è la mia faccia, accanto al Colosseo. Siamo diventati quasi un tutt’uno, io e il Colosseo. Questo monumento mi piace, ma non voglio più venire associata ad esso. Spero che il mio prossimo libro non abbia in copertina la mia faccia”. In “Cassandra”, poche bellissime pagine descrivono la premura con la quale la madre della protagonista, la sua hooyo, piena di una grazia poetica ma istruita appena a riconoscere l’alfabeto, prende in mano un libro di sua figlia, uno azzurro, lo odora, lo benedice, lo apre, inforca gli occhiali, e legge sillaba dopo sillaba, parola dopo parola – una frase. E un’altra il giorno dopo... “In particolare se hanno una bella copertina. La rendono allegra”. 

Sulla copertina di “Cassandra a Mogadiscio” Igiaba non c’è, e nemmeno il Colosseo. C’è sua madre giovane, fotografata accanto a una signora milanese, cui insegna, recto e verso, l’arte di confezionare babbucce.

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