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Il “disegnino” di Rovelli, secondo cui il mondo è fatto di stati, invece che di persone

Adriano Sofri

Il mondo è molto più grande del piccolo cerchio che noi chiamiamo Comunità internazionale, avverte il fisico. C’è molto di vero in questa arringa, ma anche un disastroso errore di fatto

Yoweri Museveni è presidente dell’Uganda dal gennaio 1986: si capisce che non sia un ammiratore della democrazia. Ha vinto, per diritto o per rovescio, sei mandati consecutivi. Nel 2014 promosse e fece votare dal suo Parlamento una legge contro l’omosessualità che venne respinta dalla Corte costituzionale per alcune irregolarità nella procedura di approvazione. L’altroieri la legge è andata in porto, salva la firma finale del dittatore: prevede l’ergastolo e, nei casi considerati più gravi, la pena di morte. Già prima, bastava farsi conoscere come lgbt per rischiare la galera fino a 20 anni. Si può fare una penosa, lunghissima lista di avvenimenti come questi.

Nella cronaca del Corsera, Michele Farina ricorda che l’omosessualità è fuorilegge in una trentina di paesi africani. La settimana scorsa Museveni aveva pronunciato in televisione il suo ammonimento: “I paesi occidentali dovrebbero smetterla di cercare di imporre le loro pratiche devianti al resto del mondo”. Come si vede, una denuncia perfettamente allineata col programma del nuovo ordine mondiale caldeggiato dalla Russia di Putin.

In questi giorni, che precedono l’apertura delle scuole nell’Afghanistan talebano, più di 3 milioni di bambine e di adolescenti, oltre la prima media, sono state escluse dalla scuola secondaria. Bambine e ragazze afghane hanno un gran desiderio, manifestato per mille prove, di andare a scuola.

Anche di denunce come questa si può fare un elenco senza fine. Perché farlo allora?

Perché sono molti fra noi, l’“occidente” – il luogo del tramonto, per antonomasia – a spiegarsi il nostro posto nel mondo soltanto come la coda ostinata e ottusa di un’arrogante volontà di dominio giustificata dalla presunta civiltà superiore – imperialismo, razzismo, colonialismo… Ma il mondo è molto più grande del piccolo cerchio che noi chiamiamo Comunità internazionale – avverte Carlo Rovelli, e fa il disegnino: “Questa è quella che noi chiamiamo comunità internazionale, cioè Canada, America, Inghilterra, Europa e Australia”. Però il grande mondo ha mangiato la foglia e non crede più alla nostra storia. E noi, in cambio della nostra storia cui non credono più, ci affidiamo, prima di arrenderci alla nuova realtà, alla nostra residua superiorità militare.

C’è molto di vero in questa arringa, che peraltro fa leva sul nostro famoso senso di colpa. Ma c’è un disastroso errore di fatto. “Il mondo” non è un elenco di paesi, di stati. Il mondo sono le persone. Rovelli, che è esemplare perché è più ingenuo e fanatico (in questo campo: sui buchi neri e bianchi, l’altro mondo infinitamente più grande e più piccolo, si può solo togliersi il cappello), lascia che gli stati annettano le persone. Che l’Uganda annetta i suoi omosessuali. Che l’Afghanistan annetta le sue ragazze. Che la Russia e la Cina e l’India – e l’Iran – l’Iran!

Un po’ del peggio di quel mondo sta dentro il nostro, e succede qua e là che prevalga. Un po’ del meglio del nostro mondo sta dentro quell’altro, e si batte al prezzo più alto. Volevo dire questo quando ho scritto che “l’occidente migliore è fuori dall’occidente. Nelle giovani iraniane che liberano i capelli e vengono assassinate per questo. E l’Europa migliore è fuori dall’Europa. Nei giovani ucraini che ne sventolano la bandiera. O in una giovane pakistana che le è arrivata dentro e viene assassinata dai suoi – i suoi… Per capire chi siamo, o almeno chi non siamo, chi non siamo più, bisogna guardare a chi non è ancora come noi, e immagina che noi siamo come lei ci immagina”.

Continuo a trovare strano e triste che non ci s’intenda su questo. Parecchi anni fa, era il 2015, non credetti ai miei occhi leggendo un primo intervento di Rovelli sul Corriere teso a scongiurare “la guerra in Iraq e in Siria”, cioè la guerra finalmente mossa al Daesh, lo Stato islamico installato a Mosul. Del quale, l’Isis dei tagliatori di gole e dei roghi umani in diretta, delle bambine e delle donne rapite stuprate smerciate, degli infedeli e degli yazidi sterminati, dei fiumi di profughi, degli attentati europei, si era persuaso – gliel’aveva detto “un rappresentante di organizzazioni di aiuto in Giordania” – che: “La gente non ha ragione di fuggire da molte zone sotto il controllo dell’Isis perché questi territori ora non sono più in guerra”. Anche uno stato come il preteso Stato islamico aveva portato la pace, e annesso “la gente”.

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