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Putin voleva fare Pietro il Grande, è diventato il benzinaio di Xi

Adriano Sofri

Il costo che paga per prolungare i tempi della guerra, perché il tempo gioca a favore delle autocrazie e contro le democrazie. L’esaurimento “democratico” dell’occidente è diventato, strada facendo, il suo programma di salvataggio della Russia

Voleva diventare il redivivo Pietro il Grande, è diventato il benzinaio di Xi. Sic transit. Per qualcuno è una buona notizia: Cina e Russia finalmente insieme. All’inizio c’era la Lega innamorata pazza di Putin, magliette e tutto, e i 5 stelle entusiasti di fare da commessi viaggiatori della Via della Seta, al costo di qualche cassetta di agrumi. Poi le circostanze si incaricarono di riportare all’ordine gli uni e gli altri. La regola è inesorabile: una volta preso il potere perché si è diversi dagli altri, diventare come gli altri per conservare il potere. Come gli altri, con un pizzico di zelo in più. Un giornale ieri riferiva che all’intervento in Senato del leghista Romeo sulle armi all’Ucraina, Patuanelli “ha applaudito con convinzione”. E sembrava uno più ragionevole, ingegnere, triestino…  Davanti alla simmetria ritrovata di Salvini e Conte (“il delitto Andreotti…  Matteotti” – che cos’è un lapsus, certo, e però un lapsus in un discorso letto, e sia pur gridato, e non a braccio), davanti alla simmetria ritrovata dunque, era solo retorica la richiesta di Meloni di chiarire quali siano le loro condizioni per il negoziato diplomatico che propugnano: qualunque! La loro condizione ideale, tredici mesi fa (“un anno fa”, continuano a dire, ma il tempo passa) era la resa senza condizioni, si dice così, la resa incondizionata. Ora? Scegliete voi, Crimea e Donbas – Donetsk e Luhansk, comprese le parti in mano ucraina – e Kherson e Zaporizhia, dove le parti in mano ucraina sono le città capoluogo omonime, Kherson e Zaporizhia, votate dagli umoristici referendum “parte del territorio della madrepatria russa per l’eternità”, e perciò bombardate ogni giorno – con una predilezione per gli ospedali e i mercati a Kherson, per i condomini a più piani a Zaporizhia, come ieri.

Con quei “referendum”, annettendosi anche quello che non aveva, Putin aveva creato il suo fatto compiuto: non ci sarebbe stato negoziato senza riconoscerlo, perché il “territorio russo” non è negoziabile, nemmeno quando non ce l’hai. I nostri impudenti concorrenti esterni di Putin non fanno passare giorno senza denunciare Zelensky che decreta l’impossibilità di negoziare senza il ritiro degli invasori russi oltre i confini dell’Ucraina indipendente: non dicono che quel proclama era venuto dopo che Putin aveva così preteso di bruciare alle spalle proprie e dei suoi la possibilità di un negoziato. E ripetono, gli associati in concorso esterno, che Putin vuole negoziare, tant’è vero che lo dice Putin, e che gli piace il “piano” cinese.

Gli alleati dell’Ucraina sono non di rado arroganti, sicuri di sé quando dovrebbero dubitare, fessi quanto basta. La fretta americana, di alcuni americani, di dichiarare impraticabile il “piano” cinese, prima ancora che lo facesse Zelensky, che l’ha fatto poi in altro tono, è stata una manifestazione di arroganza frettolosa. Volevano coprire le spalle al governo ucraino? Ma hanno dato fiato a quelli cui non la si fa, i bravi tipi secondo cui i governanti ucraini sono marionette. E secondo cui quello sbarramento preventivo confermava il proposito americano e britannico (gli altri ciuchi a rimorchio, più o meno riluttanti) di far durare la guerra. Far durare la guerra è il vero programma di Putin e della sua gang. Non tanto, come gli obiettano ucraini e alleati, per usare una pausa così da rafforzarsi militarmente e ricominciare, ma perché il tempo a volte, per esempio oggi, gioca a favore delle autocrazie e contro le democrazie. L’esaurimento “democratico” dell’occidente è diventato, strada facendo, il programma di salvataggio della Russia di Putin, al costo di trasformarlo nel benzinaio di Xi. L’aspettativa di un’alleanza occidentale, lei sì, impoverita. Ci sarà un dopo-Biden. Incombe già un dopo-Macron, di destra o di sinistra. E la simmetria demagogica dei già filorussi e già filocinesi nel Parlamento italiano ha corrispondenze significative, benché non così pagliaccesche, in altri paesi che hanno sposato l’Europa per interesse.

Fessi, anche, i “nostri”. La signora inglese, come in una caricatura, che annuncia l’invio di proiettili con uranio impoverito. Già impiegarli è un azzardo, probabilmente un delitto: annunciarli, a ridosso della recita di Putin e Xi, è peggio. I russi, che minacciano sfracelli atomici un giorno sì e uno sì, si mostrano offesi, ricordano – loro! – i militari italiani, dichiarano che così si è avvicinata, a pochi passi, l’apocalisse nucleare: che non c’entra niente.

E c’è un’altra ragione del vantaggio delle autocrazie a puntare sul tempo. Molti “esperti” spiegano che la Cina ha un interesse economico e tecnologico e commerciale agli scambi con l’occidente appunto, gli Usa e l’Europa, enormemente superiore a quello, pur così accresciuto, con la Russia del benzinaio. Ma l’idea del Sud del mondo, il non-occidente, l’anti occidente, unificato ed egemonizzato, che un Putin disperato ha tirato fuori dal cappello per farlo balenare agli occhi del suo compratore, è troppo lusinghiera perché il prudente Xi non voglia darle un filo lungo. Questa disgustosa, malaugurata guerra d’Ucraina potrebbe davvero rivelarsi – ma alla lunga! – un colpo di fortuna, per lo yuan e per l’impero. Tanto più che lo stato delle cose si vede anche dalla Cina. Quel mondo nuovo, che un eufemismo chiama multipolare – multipolare il mondo vecchio è già da tempo – quell’anti occidente, ferve e preme già sotto la pelle dell’occidente, e a volte anche sopra, come in Ungheria. Come in Israele. Dove l’occidente prende se stesso con  l’idea di un modo di vita e una libertà immaginate e un po’ praticate come universali, ma come privilegio da custodire a mano armata, al punto di dichiarare altri popoli non esistenti, “non sei nessuno!” (come Putin con gli ucraini) come Smotrich, da un governo, coi palestinesi. E i nostri schermi televisivi traboccano di tifosi di Monaco. Monaco 1938.

Siamo a questo punto. Le cose vanno più in fretta della nostra capacità, e ancor più della nostra voglia, di tener loro dietro. Questioni di tempra. Un giorno o l’altro bisognerà porsi davvero il problema dell’armamento nucleare. E di chi, il cielo ne scampi, ha già il potere e la responsabilità di decidere se e che uso farne. E di ammettere che il “disarmo nucleare” – si chiamava così – è del tutto fuori dalle possibilità per le prossime generazioni, quelle in cui l’umanità rischia di crepare con la gola secca.

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