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I missili di Mosca e quelli che Kyiv non potrebbe permettersi. Ucraina nuova Sarajevo?

Adriano Sofri

La giornata dell’11 ottobre annuncia, alla vigilia di un inverno, il proposito russo di ridurre la popolazione ucraina alla stessa condizione di miseria e umiliazione. E’ questo il senso della pioggia di bombe

Le persone di Sarajevo provano una solidarietà speciale per gli ucraini. Sono passate attraverso la brutalità, e riconoscono nella guerra d’Ucraina lo spiegamento, nel grande stile russo, della aggressione del nazionalcomunismo serbo contro di loro di quasi trent’anni fa. A Sarajevo c’era un intercalare che ormai faceva le veci dei saluti: “Nema plin, nema struje, nema voda”, non c’è gas non c’è luce non c’è acqua. Nei quasi quattro anni dell’assedio furono rari i periodi, i giorni, le ore, in cui tornasse in città la luce elettrica o l’acqua. Inverni furono superati bruciando gli alberi della città, i libri e i mobili di casa. Quando parlo con le persone amiche di Sarajevo mi colpisce ogni volta la cautela, la discrezione con cui alludono a quella differenza fra il loro assedio e l’Ucraina aggredita, dove in molte città ancora c’è l’acqua, il gas, la luce.

La stessa cosa succede nelle conversazioni fra reduci di Sarajevo, giornalisti, operatori internazionali, volontari, come se temessero di sminuire la sofferenza degli ucraini e di fomentare l’imbecillità dei minimizzatori. Oggi ne scrivo, perché la giornata dell’11 ottobre annuncia, alla vigilia di un inverno, il proposito russo di ridurre la popolazione ucraina a quella condizione di miseria e umiliazione. E’ questo il senso della pioggia di missili, che ha cercato e fatto vittime in un numero paragonabile o inferiore a quello di tante altre stragi terroristiche: gli invasori russi contano di affamare le città ucraine, di farle tremare e morire di freddo, di cancellare l’ostinazione di una convivenza “normale”. Spero che non sia così, l’Ucraina è un grandissimo paese, Sarajevo era una città sprofondata in una conca e circondata dal tiro a segno delle alture. Forse non si può infierire così a Kyiv o a Odessa o a Kharkiv o a Dnipro. 

Sulla montagna che sovrastava Sarajevo c’erano i cannoni, i lanciagranate, i cecchini, e un fuoco di molte centinaia di proiettili ogni giorno. L’Ucraina è grande. Io sono attratto dai dettagli. Sapete, la famosa linea rossa per cui non bisogna dare agli ucraini armi di una gittata capace di colpire il territorio russo – l’hanno fissata i russi quella linea, mentre entravano con le loro truppe e bombardavano ogni angolo del paese. Capisco, certo. Però il dettaglio che mi attrae fin dall’inizio di questa operazione speciale è che i russi sparano i loro missili più pregiati, i kalibr, che hanno una gittata di 1.500 o forse di 2.500 km, dal cielo del Mar Caspio. Fanno alzare un bombardiere strategico Tu-95, sul Mar Caspio, e gli fanno calcolare la traiettoria, 1.800 km – sono in grado di guidarla e correggerla fino in fondo, accelerandola nell’ultimo tratto. Inquadrano nel cielo azzurro del Mar Caspio la centrale elettrica di Vinnytsia o il parco dei giochi infantili di Kyiv. E sparano.

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