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I 25 anni dal genocidio di Srebrenica (etnia, stupro, religione) e le cancel war

Adriano Sofri

La mania dell’azzeramento, che in realtà sono almeno due manie

Giovedì, in forte ritardo sulla media, ho fatto la mia prima sortita oltre i confini regionali, e ho preso un treno: vuoto, arrivato in anticipo, regalavano confezioni di spuntini. Avevo da fare, ho appena scorso gli interventi sulla “cancel culture”, la mania dell’azzeramento, che in realtà sono almeno due manie, del politicamente corretto e del politicamente scorretto, il secondo è al potere in America (negli Usa), e chiede tutti i giorni le elezioni per arrivarci in Italia. Un dualismo di poteri dal quale l’appello di scrittori artisti e intellettuali pubblicato su Harper’s cerca di divincolarsi. Pochi giorni fa il rettore dell’università di Padova, a proposito di uno scienziato coinvolto in un’accusa di comportamento inappropriato nei confronti di una ricercatrice, aveva detto che “Quello che vale per Harvard vale altrettanto in un’università italiana”. Frase ragionevolissima, non si usino due metri e due misure quanto a deontologia e moralità. Ma non è vero.

 

In America (negli Usa) il metro e le misure conseguenti sono molto diverse da quelle vigenti in Italia: differenza della quale ci si può di volta in volta rallegrare o dolere. Può darsi che si tratti del solito ritardo europeo e in particolare italiano, che in passato si è tradotto in una rincorsa affannosa e nel superamento del modello americano. Insomma, sono tornato a casa in serata, ero stanco e ho rinviato ancora la lettura metodica dei commenti sul tema. Soprattutto, poiché intanto si faceva il 10 luglio, e domani – oggi, quando esce questa piccola posta – sarebbe stato l’anniversario, il venticinquesimo, di Srebrenica, dove in questa occasione più solenne non avrei potuto andare, ho pensato a come allora, appena l’altroieri, si era riofferta al nostro mondo, a mezz’ora di volo dalle spiagge adriatiche, la scena reale di un genocidio, quello del “Mai più”. Con qualche innovazione, anche, per esempio la categoria di “stupro etnico”. Con la pluriennale complicità attiva o l’omissione di soccorso di Onu, Ue, noi, caschi blu olandesi e pacifisti malintesi. Non era la Cambogia, era l’Europa. Ed era un compendio di tutte le discriminazioni evocate a incitare al massacro: razziste, sessiste, nazionaliste, religiose… Ero stanco, ho guardato un film su Sky.

 

“Accadde in aprile”, una produzione franco-americana, girata nel 2004, sul Ruanda. In Ruanda, in cento giorni del 1994, un anno prima di Srebrenica, e mentre nella ex Jugoslavia infuriava da tempo la strage civile, si compì attraverso fucili, machete e mazze uno sterminio, forse un milione di tutsi (e di hutu “rinnegati”), che si meritò anche lui la definizione giuridica di genocidio. Il governo francese fu complice, tutti noi inerti, le Nazioni Unite irrise, la presidenza degli Stati Uniti, Clinton, lucidamente ispirata: mentre avveniva, interrogarsi problematicamente se la categoria di genocidio fosse abbastanza appropriata (avrebbe imposto di intervenire), l’anno dopo recarsi sul posto e chiedere scusa per non aver riconosciuto il genocidio. Licenzio questa rubrica senza venire a capo del legame fra le opposte culture della cancellazione e questi precedenti, o altre vicende che sono in corso. Però mi pare che un legame ci sia.

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