LaPresse/Reuters

Il silenzio dell'Italia sul Kurdistan iracheno

Adriano Sofri

La chiusura degli aeroporti curdi e la lettera di Gentiloni al primo ministro del governo regionale

Le autorità italiane sono sembrate piuttosto taciturne a proposito dei tempestosi avvenimenti nel Kurdistan iracheno, dal referendum di fine settembre in poi. Per esempio sulla chiusura degli aeroporti curdi. Si aspettava che questa misura brutale venisse revocata il 29 dicembre: nient’affatto. Qualche funzionario di Baghdad ha fatto sapere che il bando è a tempo indeterminato. Rudaw, l’agenzia di Erbil, dà ora notizia di una lettera di Paolo Gentiloni al primo ministro del Governo Regionale Curdo. Non ne trovo traccia in fonti italiane e mi trovo nelle curiosa situazione di tradurla dall’inglese dei destinatari curdi. La lettera viene nel momento in cui l’Italia riduce la sua presenza militare in Iraq e Kurdistan, la più numerosa dopo quella americana, come ha ricordato lo stesso presidente del consiglio, per trasferirne una parte in Niger. Il governo italiano, dice ovviamente Gentiloni, auspica la ripresa del dialogo fra Bagdad ed Erbil che conduca a una soluzione “nel quadro di un Iraq unito, federale e democratico, e fondato sulla costituzione irachena del 2005”. L’Italia, che addestra le forze armate e di polizia dell’Iraq e della regione curda, “resterà una forza essenziale nella lotta contro il terrore”. A Erbil l’Italia ha un consolato, già coinvolto in un deplorevole traffico di visti, che si distingue per una irrisoria dotazione di risorse umane e materiali. C’è da novembre un nuovo ambasciatore a Baghdad, Bruno Antonio Pasquino, 53 anni, già ambasciatore in Kirghizistan e in Kazakistan e Commissario generale per l’Expo 2015. Buon anno.

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