Prima di parlare ai vescovi, il Papa ha incontrato tre donne e due uomini vittime di abuso quando erano minorenni

Pontificare meno, razzolare meglio

Matteo Matzuzzi
Il primo appuntamento del Papa nell’ultima sua giornata a Philadelphia prima del rientro in Italia fissato per le 19 ora locale era al seminario cittadino dedicato a San Carlo Borromeo, dove lo attendevano i vescovi della Pennsylvania e altri presuli partecipanti all’Incontro delle famiglie.

Philadelphia. Il primo appuntamento del Papa nell’ultima sua giornata a Philadelphia prima del rientro in Italia fissato per le 19 ora locale era al seminario cittadino dedicato a San Carlo Borromeo, dove lo attendevano i vescovi della Pennsylvania e altri presuli partecipanti all’Incontro delle famiglie. Al discorso preparato per l’occasione (e letto integralmente), Francesco ha anteposto una riflessione sui casi di abuso sessuale da parte dei membri del clero sui minori. Il Papa, infatti, prima dell’incontro ha avuto modo di incontrare cinque adulti (3 donne e 2 uomini) che hanno subìto abuso quando erano minori d’età, non solo da parte di ecclesiastici, ma anche all'interno delle mura famigliari. Ognuno di essi – si legge in un comunicato firmato da Padre Federico Lombardi, “era accompagnato da un familiare o persona di sostegno”. Ad accompagnare il gruppo c’era il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, l’arcivescovo di Philadelphia, mons. Charles J. Chaput e mons. Fitzgerald, responsabile del locale ufficio diocesano per la protezione dei minori. Francesco ha ascoltato le testimonianze dei cinque, quindi ha rivolto loro alcune parole e li ha salutati singolarmente. Al termine, ha pregato con loro. Ed è proprio a questo incontro che il Pontefice ha dedicato la prima parte del suo discorso, rinnovando l’impegno suo e della chiesa perché tutte le vittime siano ascoltate e trattate con giustizia, i colpevoli “siano puniti” e i crimini di abuso siano combattuti con una efficace opera di prevenzione.

 

La riflessione di Francesco, in spagnolo, è ruotata attorno al tema della famiglia, che “per la Chiesa non è un motivo di preoccupazione”, tutt’altro. Però – ha aggiunto il Papa – “la nostra comprensione, plasmata sull’integrazione della forma ecclesiale della fede e dell’esperienza coniugale della grazia, benedetta dal sacramento, non deve farci dimenticare la profonda trasformazione del quadro epocale, che incide sulla cultura sociale – e ormai anche giuridica – dei legami familiari e che ci coinvolge tutti, credenti e non credenti”. Il cristiano, ha osservato Bergoglio, “non è immune dai cambiamenti del suo tempo, e questo modo concreto, con le sue molteplici problematiche e possibilità, è il luogo in cui dobbiamo vivere, credere e annunciare”. Il Papa, per descrivere il mutato contesto culturale prende due immagini tipiche della nostra società, le piccole botteghe e i grandi centri commerciali. “Qualche tempo fa – ha detto – si poteva trovare in un medesimo negozio tutte le cose necessarie per la vita personale e familiare. C’era un legame personale tra il negoziante e i clienti del vicinato. Si vendeva a credito, cioè c’era fiducia, conoscenza, vicinanza. Uno si fidava dell’altro”. Ma in questi ultimi decenni “si sono sviluppati e ampliati negozi di altro tipo: i centri commerciali”. Il mondo, ha aggiunto, “pare che sia diventato un grande supermercato, dove la cultura ha acquisito una dinamica concorrenziale. Non si vende più a credito, non ci si può fidare degli altri. Non c’è legame personale, relazione di vicinanza”. E questo perché “la cultura attuale sembra stimolare le persone a entrare nella dinamica di non legarsi a niente e a nessuno. Non dare fiducia e non fidarsi”, perché “la cosa più importante oggi sembrerebbe essere andare dietro all’ultima tendenza o attività. E questo anche a livello religioso”.

 

Quel che conta oggi, ha sottolineato il Papa, “lo determina il consumo. Consumare relazioni, consumare amicizie, consumare religioni, consumare, consumare… Non importa il costo né le conseguenze. Un consumo che non genera legami, un consumo che va al di là delle relazioni umane”. I legami, oggi, sono “un mero tramite nella soddisfazione delle mie necessità”. E questo comportamento produce una grande ferita, tanto che è possibile sostenere che “una delle principali povertà o radici di tante situazioni contemporanee consiste nella solitudine radicale a cui si trovano costrette tante persone, ad esempio “inseguendo un mi piace, inseguendo l’aumento del numero dei followers in una qualsiasi rete sociale”. E’ così – ha scandito Francesco, che “le persone seguono la proposta offerta da questa società contemporanea”.

 

La domanda che ci si deve porre, però, è se si debba condannare i giovani per essere cresciuti in questa società. La risposta è no, ha detto il Pontefice. “Noi pastori siamo invitati a cercare, accompagnare, sollevare, curare le ferite del nostro tempo. Guardare la realtà con gli occhi di chi sa di essere chiamato al movimento, alla conversione pastorale. Il mondo oggi ci chiede con insistenza questa conversione”. E’ vitale “che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugi, senza repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può escludere nessuno”.

 

[**Video_box_2**]“Sbaglieremmo – ha aggiunto Bergoglio – se interpretassimo che questa cultura del mondo attuale è solo disaffezione per il matrimonio e la famiglia in termini di puro e semplice egoismo. Non cadiamo nella trappola” di pensare che i giovani di oggi siano diventati tutti “pavidi, deboli e inconscistenti”. Molti giovani, “nel quadro di questa cultura dissuasiva hanno interiorizzato una specie di inconscia soggezione”. E’ qui che il Papa chiede ai vescovi di fare di più: “Noi siamo chiamati a raccogliere le forze” e “a investire le nostre energie non tanto nello spiegare e rispiegare i difetti dell’attuale condizione odierna e i pregi del cristianesimo, quanto piuttosto nell’invitare con franchezza i giovani a essere audaci nella scelta del matrimonio e della famiglia. Anche qui – ha sottolineato – ci vuole una santa parresia! Un cristianesimo che si fa poco nella realtà e si spiega infinitamente nella formazione, sta in una proporzione pericolosa. Direi in un vero e proprio circolo vizioso”. Il pastore, semmai, “deve mostrare che il Vangelo della famiglia è davvero ‘buona notizia’ in un mondo dove l’attenzione verso se stessi sembra regnare sovrana”. E di certo “non si tratta di fantasia romantica: la tenacia nel formare una famiglia e nel portarla avanti trasforma il mondo e la storia”.

 

Il vigilare del pastore “sul sogno, sulla vita, sulla crescita delle sue pecore non nasce dal fare discorsi, ma dalla cura pastorale. E’ capace di vigilare solo chi sa stare in mezzo, chi non ha paura delle domande, del contatto, dell’accompagnamento”. E il pastore vigila “prima di tutto con la preghiera”. Qui il Papa, a braccio, ha ribadito che “il primo lavoro del vescovo è pregare, il secondo il predicare. Si deve ‘pastorear’ con la preghiera e l’annuncio”. E sarebbe bene chiedersi “se nel nostro ministero pastorale sappiamo perdere tempo con le famiglie”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.