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A teatro

“Raffa in the sky”

Fabiana Giacomotti

Molto più che un musical, una vera opera leggera e intelligente sull’Italia e la nostra maggiore star, quella scritta da Alberto Mattioli e che ha debuttato a Bergamo

Il grande errore sarebbe considerare questo “Raffa in the sky” che ieri ha debuttato al Teatro Donizetti di Bergamo come un musical, errore peraltro facilissimo da commettere volendo restringerne la narrazione al suo livello di base e cioè come la storia fantastica di un personaggio extraterrestre, modellato sulla “Barbarella” di Roger Vadim, che salva il mondo da una reazionaria estinzione socio-sessuale incarnandosi nel personaggio di Raffaella Carrà.

A quest’opera, che si svolge sullo sfondo della società italiana del Dopoguerra abbacinata, guidata e non di rado educata dal mezzo televisivo, non manca alcuna delle grandi hit di Raffaella che tutt’oggi accompagnano feste, pride e memorie collettive; perfino il protagonista si chiama Luca come in un recente cartoon sui turbamenti di un ragazzino e come il titolo della celeberrima canzone che, dicono le leggende, fosse stata ispirata dal più famoso dei costumisti che guidarono la Carrà nel percorso di affermazione del suo personaggio mitologico, Luca Sabatelli (nello spettacolo, i costumi sono di Alessio Rosati, che ha lavorato con ironia non solo sulla lezione di Sabatelli e di Corrado Colabucci che suggerì il caschetto e il suo primo stile, ma anche sul Jacques Fonteray di “Barbarella”, che peraltro realizzò gran parte dei suoi abiti space age a Roma, da Farani).

Dunque, l’opera che non è un musical. Il direttore del Donizetti Opera Festival Francesco Micheli, da cui nasce l’idea, e il giovane Lamberto Curtoni, ottimo violoncellista alla sua prima prova compositiva, hanno lavorato nella piena libertà del post-moderno (“non si capisce perché un trentacinquenne dovrebbe scrivere come un avanguardista del Novecento”, osserva il direttore Carlo Boccadoro, prevenendo eventuali critiche di quelli che “però Berio”), dunque senza dimenticare la tradizione operistica del sette-ottocento che riprendeva, scomponeva e ri-orchestrava le hit del momento, vedi Giuseppe Verdi con un discreto numero delle arie e soprattutto del mood di “Traviata”, nati al Boulevard du Temple e perfino ai “baccanali del bue grasso” milanesi a cui li avevano destinati i loro primi compositori e grazie a lui assurti al melodramma con tutto il suo ricco sistema di rappresentazione e i suoi “motivi di reminiscenza”, Parigi o cara. Da questo esercizio multiforme è nato un adorabile, godibilissimo spettacolo che, anche grazie al libretto di Renata Ciavarino e del “caro modenese” Alberto Mattioli, dramaturg di riferimento di Micheli oltre che brillante critico molto amato anche sul “Foglio”, mette in luce e pure in controluce quale e quanto sia stato l’apporto della Carrà, con quel cognome di battaglia scelto fra i grandi innovatori della pittura novecentesca, nell’evoluzione della società italiana e internazionale.

Non è solo per via dell’ombelico scoperto, naturalmente, e che peraltro altre showgirl, prime fra tutte le Kessler, avevano sfoggiato. Carrà viveva proprio su un altro pianeta rispetto alla società dei tinelli del 1970, bene ha fatto Mattioli a farne una creatura del pianeta Arkadia. “Raffaella Carrà insegnò la gioia del sesso a tutta l’Europa”, scrisse una volta il Guardian, in realtà minimizzandone la figura, visto che la signora, scomparsa nel 2021, scriveva e cantava in cinque lingue ed è idolatrata tuttora anche in Sudamerica. Deliziosa Chiara Dello Iacovo, la “Raffa in the sky” che sfida la delusione del re Apollo XI sacrificandosi per il bene della razza umana, già vista a Musicultura 2015 e soprattutto, lo scriviamo in onore al pop, nella sezione Nuove Proposte 2016 di Sanremo, e diremmo anche piuttosto coraggiosa la Fondazione Teatro Donizetti per Bergamo-Brescia capitale italiana della Cultura 2023: “E’ la prima volta che una città capitale inserisce nel proprio programma una nuova opera lirica, nella terra che ha inventato questo genere, nel mondo”, osservano, orgogliosi, dal Teatro. Su questo punto magari si potrebbe discutere. E’ però vero che in “Raffa in the Sky”, in programma fino all’8 ottobre ma siamo pronti a scommettere di prossima ripresa un po’ ovunque, affiorano così tante eco, riferimenti così numerosi all’”alto” e al presunto “basso” della musica che, forse, un genere nuovo è appena nato. “Per il postmoderno”, dice Boccadoro, “la storia non esiste. La storia anzi è un eterno presente dal quale si può prendere tutto quello che si vuole”.

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