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in teatro

I bidoni in musica degli Stomp

Mario Leone

Anche gli oggetti quotidiani hanno un ritmo. Ed è irresistibile. Il gruppo britannico lo porta in scena da più di 30 anni. Il tour in Italia

La found object percussion è un’esperienza musicale realizzata con oggetti della vita quotidiana. Utensili da cucina, materiale scartato, grosse installazioni possono diventare protagonisti di un unico esperimento creativo. Una tendenza molto in voga ma non nuova perché presente nel panorama delle avanguardie nella Francia degli anni 40. Pierre Schaeffer utilizza oggetti per produrre suoni poi registrati e spesso manipolati elettronicamente. John Cage, Karlheinz Stockhausen e Brian Eno continueranno questo percorso, indirizzando i loro interessi sulla manipolazione degli strumenti musicali tradizionali o nella ricerca spasmodica di una condizione di assenza assoluta di suono. Nel testo Silenzio (il Saggiatore, 2019) proprio Cage chiarisce il suo pensiero: “La musica è in primo luogo nel mondo che ci circonda, in una macchina per scrivere, o nel battito del cuore, e soprattutto nei silenzi. Dovunque ci troviamo, quello che sentiamo è sempre rumore. Quando lo vogliamo ignorare ci disturba, quando lo ascoltiamo ci rendiamo conto che ci affascina”. 

Negli anni questo approccio ha ampliato il concetto tradizionale di strumentazione musicale e aperto nuovi orizzonti creativi e concettuali, sfidando le convenzioni e stimolando la sperimentazione. Colpire, strofinare, sfregare o manipolare gli oggetti produce una vasta gamma di timbri. Un’attività che stimola la creatività sia dell’ascoltatore sia dell’esecutore più o meno esperto: entrambi diventano protagonisti di un’esperienza sonora spesso improvvisata e sempre nuova. 

 

I percussionisti Luke Cresswell e Steve McNicholas si incontrano a Brighton. Ciò che fanno non è catalogabile, il pubblico è sbigottito

Bisogna chiudere gli occhi e per un attimo provare ad ascoltare il suono del mare, quello della costa meridionale dell’Inghilterra nell’East Sussex. Siamo a Brighton, la città da molti considerata una piccola Londra, luogo d’incontro tra storia e futuro, dove una vita “più umana” e il suo spirito rilassato, easy, come direbbero gli anglosassoni, la rendono meta ideale e sempre più luogo residenziale per i londinesi alla ricerca di un angolo di pace. Una città dalla mentalità aperta, paladina dei diritti lgbtq+, capace di reinventarsi, accogliere mode e tendenze, spesso esportandole in tutto il mondo. Qui nei primi anni 80 Luke Cresswell e Steve McNicholas, due percussionisti e artisti di strada, si sono incontrati lavorando a una serie di progetti che vedono la nascita di gruppi musicali dove percussione, teatro, danza si fondono in un unico spettacolo che utilizza anche scope, bastoni, bidoni della spazzatura. Una delle prime uscite del duo è al Brighton Fringe, dove con una esibizione di quaranta minuti travolgono il pubblico con forza ed energia mai viste prima. I due colleghi sono fumatori accaniti e terminano l’esibizione senza fiato. Anche il pubblico è sbigottito, avendo assistito a qualcosa di assolutamente nuovo e difficilmente catalogabile. Così, in un attimo, dalle spiagge del Mare della Manica ci si ritrova sui sentieri che si inerpicano sull’Arthur’s Seat, la collina nel cuore di Edimburgo che si erge fiera, offrendo una vista panoramica che abbraccia la città. “La sedia di re Artù” custodisce una storia geologica millenaria dove realtà e sogno si fondono all’interno di una flora selvaggia, un luogo sacro dove si uniscono profondamente la natura e le radici scozzesi. Qui nel 1991 Luke Cresswell e Steve McNicholas si rifugiano per poter provare lo spettacolo che qualche giorno dopo presenteranno al Fringe Festival di Edimburgo. Quel promontorio è l’unico luogo dove è possibile percuotere bidoni, coperchi e bastoni senza essere accusati di rumori molesti.  

Per tre settimane nel mese di agosto la città di Edimburgo è il centro di un’energia creativa portata da artisti di ogni latitudine. Centinaia di palchi dislocati in parchi, teatri, bus dismessi, anfiteatri: qualsiasi anfratto della città è adatto ad accogliere performance di ogni tipo. Teatro, commedia, danza, circo, cabaret, spettacoli per bambini, musical, opera. Una festa di colori e talento offerta gratuitamente a chiunque. Passeggiando per Edimburgo nelle settimane del Festival è possibile incrociare vip o gente comune, uniti dalla gioia mentre respirano bellezza. A quel gruppo di perfetti sconosciuti il Festival concede uno spazio alle undici di sera. Il pubblico è di sole sei persone, tra questi lo scrittore e critico di danza Alastair Macaulay che rimane colpito al punto da scriverne sulle colonne del New York Times. Quello che stupisce è la resa polifonica che nasce dall’incastro di semplici ritmi. Qualcosa di mai ascoltato prima che secondo Macaulay non è solo musica, danza o teatro ma tutte queste cose insieme e molto altro ancora.

Il pubblico è parte dello spettacolo perché restituisce energia agli artisti, dei quali si devono “sentire il respiro e vedere il sudore”, ricordano i fondatori

“Ci siamo concentrati sugli elementi ritmici – dice spesso McNicholas raccontando le origini di quell’intuizione – pur consapevoli della follia di utilizzare oggetti di uso quotidiano”. Una scelta che introduce quel tocco di umorismo che caratterizza sin dall’inizio tutti gli spettacoli. Gli Stomp nascono qui o meglio, l’idea di un certo tipo di musica da portare in scena nasce qui e ancora oggi quell’idea vive e coinvolge un pubblico planetario.  

Alla base di tutto c’è la fisicità dell’esperienza sonora: gli oggetti di scena, i movimenti e il conseguente sforzo fisico sono combinati per creare ritmo che non è solo percepibile ma anche visualizzabile. L’obiettivo è quello di realizzare uno scambio tra la forza ritmica e timbrica che i performer sviluppano e il divertimento che suscita nella gente. Il pubblico diventa così parte dello spettacolo perché restituisce energia agli artisti, viene coinvolto direttamente nell’azione, soprattutto quando il teatro ha un palco molto vicino alla platea. “Degli artisti devono sentire il respiro e vedere il sudore”, ricordano spesso i fondatori.

Il successo in America ha reso questo gruppo un simbolo del panorama culturale newyorchese, facendone spesso dimenticare le origini inglesi

Per fare questo McNicholas e Cresswell decidono di allargare il gruppo a otto componenti in modo da realizzare nel migliore dei modi l’incontro tra musica, danza e commedia. Negli anni si sono creati diversi gruppi che fanno capo ai due coreografi e girano il mondo per coprire le numerose produzioni. La diversa provenienza di tutti gli artisti è una delle chiavi del successo degli Stomp. Dissimili le attitudini, le caratteristiche fisiche e i percorsi artistici, un patrimonio che dona al gruppo una varietà di soluzioni non sempre rintracciabile in altre compagnie.  Attualmente con Luke Cresswell sono in scena Nick Dwyer, Sarah Eddy, Theseus Gerard, Fraser Morrison, David Olrod, Carl Smith e Fiona Wilkes. Otto virtuosi che compongono un meccanismo implacabile, impostato al millimetro e al centesimo di secondo, perché una minima incertezza vanifica tutto il lavoro. Il perfetto gioco di luci che avvolge una scenografia suburbana, unita ai decibel che si alzano, e poi i tubi metallici, i carrelli del supermercato, lattine e reti metalliche, completano il tutto. Una costruzione “sinfonica” che non lascia nulla al caso e richiede un lavoro di “concertazione” degno delle più grandi compagnie di danza o compagini orchestrali. 

Nel 1994, dopo tre anni ininterrotti di produzioni, lo spettacolo approda per la prima volta a New York, città che non abbandonerà per ben venticinque anni e più di undicimila repliche. Un successo che ha reso questo gruppo un simbolo del panorama culturale newyorkese, facendo spesso dimenticare le origini inglesi della compagnia. Recensendo lo spettacolo, il New York Times utilizza queste parole: “Gli Stomp, un gruppo irresistibile di percussionisti inglesi, potrebbe aver trovato una soluzione alla crisi dei rifiuti. Invece di buttare via la spazzatura, perché non riciclarla come ritmo?”. Quello che stupisce è l’assenza totale di parole all’interno di uno show che vede protagonisti dei “gladiatori con le creste […] acrobati che sbattono il loro corpo contro delle reti metalliche”. Per le vie della città si parla di qualcosa che è un mix di rock & roll, tip tap o una specie di esercitazione militare fatta con alti anfibi di pelle nera. Qualche anno dopo, ancora il New York Times definisce lo spettacolo “il teatro al massimo della sua seduzione”.

L’aspetto educativo del ritmo: molto più di una componente della musica, gioca un ruolo decisivo nel modo in cui ci connettiamo con il mondo

Quello che avviene sul palco ha un’unica origine: il primordiale e umano bisogno di giocare, scoprire e inventare. Ciò che in fondo piace fare a un bambino quando batte un oggetto, accartoccia della carta; il puro piacere che sorge producendo suoni ma anche rumori. Ed è qui che gli Stomp testimoniano che cosa la gente cerca nella musica, tracciando una possibile strada per educare al mondo dei suoni, diffondere e ripopolare le sale da concerto al di là del genere e dello stile proposto. Con loro si ritorna, per alcuni aspetti, ai princìpi fondamentali di alcune scuole di pensiero dei “metodi attivi” per l’insegnamento della musica. L’Euritmica di Dalcroze che mira ad avvicinare i piccoli (e non solo loro) al mondo delle sette note attraverso la consapevolezza corporea, il movimento, la capacità di coordinamento e anche la musicalità. Un’unione perfetta tra musica, corpo, mente e sfera emotiva che pone la persona e le sue possibilità al centro di tutto. Una sorta di apprendimento significativo capace di mettere in dialogo l’innato corredo musicale che ogni uomo ha sin dalla nascita con nuovi input che vanno a stimolare altre abilità. Aristotele molti anni prima vedeva nell’orecchio l’organo dell’istruzione capace di innescare un processo creativo del pensiero, utile alla formazione di tutta la persona e della coscienza che ha di sé e di quello che lo circonda. In questo senso anche il ritmo è molto più di una componente della musica, gioca un ruolo decisivo nel modo in cui percepiamo e ci connettiamo con il mondo, determinando la vita sociale e la nostra salute. Svolge un ruolo nell’ascolto, nel linguaggio ma anche nel camminare e persino nei sentimenti che proviamo nei confronti degli altri. La neurobiologa Nina Kraus – docente alla Northwestern University dell’Illinois e studiosa del rapporto tra musica e neuroscienze – parla di una sorta di intelligenza ritmica che si aggiunge alle sette individuate dallo psicologo statunitense Howard Gardner. Linguaggio, capacità sociali e organizzative sono attivate da questa dote dell’individuo che è da un lato primordiale, insita dalla nascita, e dall’altro sviluppabile grazie alla plasticità cerebrale. E’ facile comprendere come istintivamente battiamo un piede quando ascoltiamo musica che cattura la nostra attenzione. Così l’esperienza degli Stomp si incolla alla pelle dello spettatore, lo provoca, tira fuori qualcosa dalle sue viscere: in altre parole lo educa. Sul palco abbiamo dei “chiassosi maestri” che incarnano quel concetto di “giocare” con la musica tanto caro a Leonard Bernstein o alla cultura anglofona e dell’est Europa. La musica non è roba per addetti ai lavori. La musica è per tutti. Quest’idea ha reso gli Stomp un vero e proprio fenomeno pop. Tra il 1996 e il 1997 Cresswell realizza Brooms, un cortometraggio su Stomp che ottiene la nomination agli Oscar a cui segue STOMP Out Loud, speciale per la tv realizzato per l’emittente statunitense Hbo. A fine 1999, l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton invita il gruppo a esibirsi sui gradini del Lincoln Memorial per poi spostarsi a festeggiare il nuovo millennio nei saloni della Casa Bianca. Numerose anche le collaborazioni televisive e musicali (Quincy Jones ha sempre stimato il loro lavoro); spot pubblicitari, tra cui “Ice Pick” di Coca-Cola, o per Toyota in Giappone. Nel 2012 l’invito più prestigioso: esibirsi durante la cerimonia di chiusura dei Giochi della XXX Olimpiade di Londra. 

Gli Stomp arrivano in Italia con un breve tour che inizia martedì 30 dal Teatro sociale di Mantova per poi toccare le città di Bologna e Roma. Oltre ai numeri storici della compagnia questa tournée propone Suitcases e Poltergeist, due nuovi allestimenti nati da alcune suggestioni. Suitcases è l’omaggio a trent’anni di viaggi in giro per il mondo, una performance fatta con bagagli percossi, lanciati e quindi scambiati. Poltergeist si ispira ad alcune scene cinematografiche dove gli oggetti prendono vita muovendosi tra i protagonisti, diventano una sorta di batteria fluttuante che gli Stomp suonano con un paio di spazzole in mano mentre il pubblico in sala non può fare a meno di ballare sulle poltrone.

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