Disimpegno per tutti

Simonetta Sciandivasci

Gentili maschi, l’onere della presentabilità sanremese va condiviso, come le lavatrici

Cari maschi che animate il palco sanremese, è una gioia vedervi tanto felici, spensierati, allegri, disimpegnati, giocherelloni, solidali. Sembrate certe paginette di Louisa May Alcott. Sapete, v’invidiamo un pochino, perché anche a noi, come a voi, va di spassarcela, noi siamo lievi e soavi e simpatiche, e le battute ci piacciono così tanto che ne facciamo anche da incazzate, noi non siamo dolcemente complicate ma facilmente disturbate, e incredibili romantiche un po’ nevrotiche ma non patetiche. C’innamoriamo come allocche di chi ci fa ridere, non importa se donna uomo cane o serie tv; per una buona battuta mangeremmo un cuore crudo di mostro marino, come Salma Hayek in quel Garrone ispirato a Giambattista Basile.

  

Ciò detto, poiché a guardare il Festival dal divano di casa proviamo invidia per voi e ambascia per le colleghe vostre (nostre?), ci stiamo con crescente preoccupazione domandando se questo vostro mandarci avanti (come se poi ce ne fosse bisogno, ché qua siam passoavantiste della prima ora) non vi abbia illusi della nostra disponibilità ad accollarci tutte le pratiche dell’impegno civile, sociale, politico, ideologico, ambientale, eccetera eccetera, mentre voialtri ve ne state a duettare “Perdere l’amore”, stonandola pure un po’, e a giocare a tennis con tennisti serbi, e a farvi gavettoni. Non deve ripetersi mai più l’orrido schema di queste sere festivaliere, con Amadeus e Fiorello che giocano a “Scemo più Scemo” e Leotta, Jebreal, D’Aquino e Chimenti che somministrano editoriali, fanno opinione, vestono serioso e quindi male, straparlano di maternità. Non ci siamo risentite dell’indicazione alla retromarcia perché volessimo prenderci in carica tutto noi. Il passo in avanti non lo abbiamo fatto per guardare il mondo da un oblò, ma per mangiare troppe caramelle, credere solo nelle stelle, star benissimo da sole ben sapendo che cos’è l’amore.

  

Che ne dite se ci divertiamo tutti, facciamo rumore, facciamo casino, e vediamo di non finire come nella canzone di Diodato, a rimpiangere “quel bellissimo rumore che fai”.

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